Passione: il “filo di lana” che ci lega


di Silvia Desideri insegnante di lettere I.I.S. “G.Ferraris-F.Brunelleschi” Empoli (FI)


L’eccezionale situazione, che abbiamo vissuto e stiamo vivendo, ha messo sotto i riflettori l’urgenza di attivare la modalità di didattica a distanza, unico modo per mantenere   non solo la funzione del lavoro didattico, ma anche il legame cognitivo ed emotivo tra scuola, studenti e famiglie.
Nonostante ciò, la scuola a distanza non può e non potrà sostituirsi al lavoro in presenza, alla relazione educativa in aula, in cui discenti e docenti comunicano non solo con le parole, i libri, i video, gli strumenti tecnologici, ma soprattutto con gli sguardi, l’incontro fisico e l’empatia, indispensabili per la formazione della persona e del cittadino. Le tecnologie, o meglio le tecnologie di apprendimento, ci hanno offerto e ci offrono l’opportunità di continuare il rapporto didattico con i nostri studenti e di “stare in contatto” con loro, ma non ci permettono un rapporto di vicinanza fisica in classe, giorno dopo giorno. La fissità di uno schermo non fa trasparire emozioni, sgomento, paure, angosce e/o speranze.L’emergenza Covid-19 ci ha colti tutti impreparati, il cambiamento è stato repentino e ha messo in evidenza le differenze economiche e culturali. Il nostro Istituto ha aiutato, in tal senso, studenti e  famiglie in difficoltà, ma non ha potuto, certo, supplire agli improvvisi blackout, al malfunzionamento della connessione, o alla mancanza di un ambiente adeguato per poter partecipare alle lezioni; qualcuno ha intorno fratelli, sorelle o cugini vocianti; qualcuno si trova nel ripostiglio con la lavatrice e gli indumenti da lavare etc. Noi insegnanti, per ovviare a tali eterogeneità di situazioni e condizioni, siamo stati flessibili e ci siamo messi a disposizione per assistere i ragazzi in qualsiasi momento della giornata.
Il lavoro che sta dietro alla didattica a distanza è stato ed è, notevole e incalcolabile, per rendere accessibile la lezione, che manca di empatia, di condivisione fisica e di gestualità, gli insegnanti hanno dovuto ripensare e reinventare una didattica diversa. Cercando di ovviare all’eterogeneità di situazioni e condizioni delle famiglie, che ha reso e rende ancor più difficile il nostro lavoro di insegnanti.In tal contesto, il sapere e la conoscenza devono essere rivalutati come “antidoti” che ci rendono più forti e più potenti. Pensiamo agli occhi puntati che tutti noi abbiamo in questo periodo sulla scienza, sugli scienziati e sui biologi, che si basano proprio su una ricerca continua. Pertanto, conoscere, sapere, imparare sono atti necessari irrinunciabili e non rinviabili. Come docente referente di vari progetti, quali, per esempio, il Laboratorio Teatrale e lo Scrilab con produzione di cortometraggi, mi è sembrato opportuno, continuare le attività pomeridiane, con tutte le difficoltà dovute alla distanza, alla condizione di separatezza e alla surreale situazione, per creare occasioni di reiterata socializzazione in un ambiente condiviso, seppur virtuale. Importante per “nutrire” lo spirito degli studenti, per allontanarli il meno possibile dalla quotidianità, per dare loro una speranza, la possibilità di essere utili alla società e cercare di trasformare un periodo di paure ed incertezze in un momento di crescita. In tutto ciò è stata fondamentale la partecipazione di alcuni studenti, già diplomati, attraverso il "filo di lana" che li lega all'Istituto. Ciascuno di loro ha messo a disposizione la propria fantasia, le proprie competenze collaborando per uno scopo comune, rafforzando pertanto il senso di comunità. Gli incontri avvenuti nella nostra “agorà virtuale” sono stati fondamentali per imparare, collaborare, infondere autostima, crescere personalmente e culturalmente, definendo la propria individualità all’interno del gruppo (anche se a distanza). Il compito della scuola, infatti, non è solo preparare ad una professione, ma anche insegnare ad esercitare autonomamente il proprio pensiero critico. Da Marzo in poi, quindi, per esempio l’attività del Laboratorio Teatrale ha proseguito online. Piccoli gruppi interscambiabili si sono alternati, quotidianamente. Mancando la dimensione fisica del teatro, dello spazio collettivo, della voce spiegata, dei gesti grandi, della forza, dell’intensità, della felicità, abbiamo scelto di adattarci al tempo: voci e volti raccolti da dispositivi individuali, piccole e grandi isole. “Arcipelaghi”. Anche per l’attività dello Scrilab gli obiettivi inizialmente prefissati sono stati rimodulati sulla situazione, sulla riflessione e documentazione dell’emergenza attuale.Forse, da questa esperienza usciremo cambiati. La pandemia ha messo in crisi la nostra routine, le nostre certezze, ma ha rafforzato il senso di appartenenza al proprio Istituto, alla propria Regione e al proprio Paese.

Nessuna persona si giudica dall'aspetto. Il caso di Giovanna Botteri


di *Sara Bartalini

 Dopo aver letto la lettera che la giornalista Giovanna Botteri ha scritto qualche giorno fa, la prima cosa cosa che ho pensato è stato che, secondo me, i suoi capelli non erano poi tanto male! La sensazione che mi ha accompagnata subito dopo, è stata lo sdegno; lei poteva avere i capelli turchini, essere arruffata o calva… il punto è che una brava giornalista non si giudica dall'aspetto (ovviamente nessuno si presenta in modo indecoroso!). Nessuna persona  si giudica dall'aspetto.
Per quanto riguarda la trasmissione nella quale la Botteri è stata criticata penso che non si cerca di fare audience mettendo alla berlina una persona seria che sta facendo il suo lavoro.
La seconda cosa che ho pensato, ma non seconda per importanza, è che ci sono un sacco di giornalisti, inviati, commentatori maschi che vengono presi in giro solo se sbagliano un congiuntivo (brutta cosa per un giornalista!) o perché sbagliano qualcosa durante il servizio, ma non per l' aspetto fisico! E allora qui torniamo al solito vecchio pruriginoso discorso del cosiddetto 'sessismo' o differenza di genere… una differenza che c'è e ci deve essere, ma che non deve permettere assolutamente differenze di trattamento nella vita lavorativa, sociale e familiare.
La terza cosa, che mi ha anche un po’ rattristata, è stato il fatto che a fare tale commento è stata proprio una donna che, della sua emancipazione ne ha sempre fatto bandiera… allora questo vuol dire che gli ideali valgono solo quando di mezzo non c'è il denaro? E invece si sventolano per farsi pubblicità? Mah, è tutto davvero triste...
C'è anche da dire che probabilmente la redazione di 'Striscia la notizia' ha fatto fare questi commenti a Michelle Hunziker di proposito, consapevole che se li avesse fatti un collega maschio, subito si sarebbe urlato al maschilismo. Fortunatamente, anche se le parole di scherno sono uscite dalla bocca di una donna, non sono passate inosservate da gran parte del pubblico e questo già è un passo avanti, soprattutto nel mondo della televisione che, volenti o nolenti, influisce sulla mente di tanti grandi e piccini. È importante che arrivino questi messaggi di dissenso se necessario, per cambiare qualcosa.
A tirare su la questione e a rimettere i puntini sulle 'i' ci pensa, in modo veramente elegante ed educato, Giovanna Botteri con la sua lettera; spiega che in tutto il modo ci sono giornaliste di ogni razza e colore, ognuna col suo fisico e non sono fotomodelle (pagate per mostrarsi e non fiatare), ma donne in gamba che sono apprezzate dalle principali società televisive mondiali, in onda si pettinano come vogliono e si vestono come vogliono, l'importante è quello che hanno da dire.
Tra l' altro la Botteri stava trasmettendo dalla Cina, dove la situazione non è ancora del tutto facile; inoltre lei ha lavorato su diversi fronti, spesso inviata in Paesi con situazioni difficili, dunque si rende bene conto che è la sostanza quello che conta. 
*Sara Bartalini, studente dell'IIS "Ferraris-Brunelleschi" (Empoli, Fi).

EUROPAINSIEME: volti, parole, voci

Partiamo dal mare e ritorniamo alle onde del Mediterraneo, del mare di Omero per un’#Europainsieme. Con le parole delle poetesse europee, insieme, studenti e insegnanti di 12 Paesi d'Europa raccontano la bellezza della cultura del Continente antico ed il desiderio di un’Europa giovane unita in un comune progetto di pace, libertà, fratellanza e sorellanza, solidarietà, condivisione, amore, conoscenza e riconoscenza, risalita, umanità e accoglienza. Perché l’Europa è tutto questo. Ragazze e ragazzi, insegnanti, interpretano frammenti delle poesie di Wislawa Szymborska, Boris Cristov, Marin Sorescu, Giuseppe Ungaretti, Francisca Aguirre, Karl Kraus, Kölcsey Ferenc, Alda Merini, Paul Éluard, Florbela Espança, Konstantinos Kavafis, Christian Morgenstern, Theodor Kallifatides . Ci sono anche le parole latine e greche delle radici della cultura europea: dei poeti Virgilio e Omero che parlano di un mondo di pace e accoglienza. Grazie a Delfo e Ibrahim ( Italia del sud e del Nord ),Tania(Bulgaria),Silvia (Francia),Julian (Germania),Pablo(Spagna),Maja (Polonia),Emilian (Svezia), Cristina (Romania),Sara (Ungheria) ,Ilias (Grecia), Ana (Portogallo), Fiona (Austria). Elli, insegnante greca, è Nausicaa che racconta l’anima ospitale della terra dei Feaci. Vincenzo interpreta l’auspicio virgiliano di un tempo di pace. Grazie a docenti e dirigenti che hanno aderito al progetto : Florentina Gheorghe, Petia Tontschewa, Ana Bento, Ilias Agathangelidis, Vasile Nicoara, Boryana Stambolova, Henrik Nöbbelin, Salvina Gemmellaro, Maria Grazia Fornaroli, Fabiana Scifo, Adriana Di Buono. Grazie per il supporto a Costanza e Anna Paola Franzì, a Maria Naji 


#Europainsieme è un progetto Fnism-Catania, ideato e curato da Pina Arena e Antonio Risoluto per la Giornata dell’Europa2020.

*DAD: un’opportunità per una scuola umana?


   di Pina Arena insegnante di Lettere, Liceo scientifico Catania


La DAD è un’ opportunità in questa emergenza,  necessaria ora, crea contatti,  espande il nostro lavoro, ma non sa e non può  sostituirlo, perché la professione docente  è fondata sulle emozioni, sulla fisicità,  sulle relazioni tra l’insegnante- la persona che  con professionalità e umanità  veicola  e media saperi, li rimastica  e comunica, anche con il corpo-  e studente, la  persona che li accoglie e rimodula , rimastica , fa  propri.  
E sono gli\le  studenti  più fragili ad aver bisogno più fortemente della dimensione fisico-relazionale nella pratica educativa e didattica. Sono le persone più fragili a cedere di fronte alla fissità rigida di una macchina che non guarda negli occhi, che non coglie  l’incrinatura dello sguardo, che non tradisce l’emozione della lettura di un testo poetico.
Eppure la macchina è una potente aiutante, moltiplicatrice di azioni parallele: espande il nostro lavoro su mondi virtuali, fa navigare nei percorsi multiformi di saperi che s’incrociano ed assumono forme diverse, si colorano di musica, immagini grafiche e cinematografiche. Consentono l’incontro con altre voci lontane che arricchiscono e potenziano la fisicità e l’umana relazione. Ma non la sostituiscono. Non possono sostituirla nel prezioso lavoro ordinario.   
Il dispositivo digitale  svolge con rigore  anche  il compito di  misuratore e  controllore oggettivo: vigila sui compiti prodotti da ogni studente, li conteggia, comunica orari e regolarità di consegne. Ben venga il suo meccanico aiuto. Porta regola, dà numeri e statistiche  che aiutano a decifrare la qualità dei processi. Ma non basta! Ben venga il meccanico aiutante, ma non basta!
Come ogni rivoluzione,  la rivoluzione necessaria della dad semina  anche distruzione mentre costruisce.  Chi ha sempre lavorato lavora anche di più, partecipa alla scommessa, fa tesoro dell’emergenza.
Chi non è economicamente o culturalmente adeguato si perde,  abbandona. Chi è più fragile, non ha sufficienti mezzi, pc, memorie digitali adeguate, dispositivi giusti, camera propria e  non condivisa con due sorelline vocianti, chi non ha altri trenta libri in casa, ambiente favorevole,   non sta al passo, non può partecipare alla pari, esserci.  E si perde anche chi pur disponendo di   piattaforme digitali,  ha  una storia di debolezza  motivazionale.
Eppure deve  essere questa la scommessa: una scuola inclusiva, capace di valorizzare e sostenere ogni persona, in modi differenti, diversificati.   Non abbandonando i più vulnerabili, i più fragili o solo i più timidi e timorosi, in un tempo in cui un’emergenza       sanitaria mette sotto gli occhi di tutti proprio  che la vulnerabilità è propria di ogni essere umano.  umani.   Proprio per questo è necessario  “mantenersi in contatto con l'aspetto umano”  facendo scelte che  non prescindano mai dall’umanità che è in ciascuno\a di noi.


Ora ci attendono la conclusione di un anno di scuola diverso  e l’inizio di un nuovo anno  di scuola in un tempo  che è fuori dell’emergenza ma in cui l’emergenza, così ci dicono, non sarà ancora risolta.  Una possibile via da percorrere è quella mista, in questo tempo di transizione: coniugare dad e didattica in presenza, dividendo la settimana in due parti disuguali, ma solo per studenti delle scuole superiori, è una via  che  permette di valorizzare le risorse migliori delle due modalità didattiche, risparmio di strumenti e maggiore condivisione di mezzi per le scuole, perfino  risparmi di carburanti  per i trasporti.  Ferma restando la centralità delle persone, delle umane relazioni, della crescita umana. Ferma restando la consapevolezza che la lezione d’aula in presenza resterà  insostituibile e che solo  l’esperienza e l’alta professionalità docente sono  capaci di rimodulare , almeno in parte, nell’emergenza,  la comunicazione e la condivisione fisica, necessari motori di empatia.  
  Che sia arrivato anche  il momento di  mettere fine al disastro antico, sempre denunciato mai ascoltato, delle classi-pollaio? Ripartiamo da qui. E’ necessario. 

*Le emozioni superano le distanze
di Linda Adamo, insegnante di diritto-Liceo Scientifico-Catania


Alle mie alunne e ai miei alunni
Come primi attori e attrici inconsapevoli di una pagina di vita inusuale, quasi una commedia estemporanea senza sceneggiatura e senza prove, siete protagonisti di una realtà anomala, così lontana da ciò a cui siamo abituati da apparire quasi incomprensibile.
Eppure, in questo vortice di morti numerate, di storie urlate o sussurrate, di dolori e di rinascite, avete suscitato in me nuove emozioni, quelle silenti, quelle che anche un' insegnante esperiente può scoprire di provare, di voler nutrire e gestire.
E così, dietro quegli schermi dei vostri dispositivi che segnano i confini e le distanze, invece ravviso nuove emozioni. E nella drammaticità del momento, dal groviglio dei miei sentimenti opposti, il mio sgomento di adulta si trasforma per voi in speranza; la mia paura solitaria si è vestita da gioia comune; il mio domani incerto diventa per voi conferma sicura. E sono così anch’io protagonista di una difficile pagina di vita, chiamata ad affiancare i vostri stati emotivi per viverli alla pari.
E poi nel concreto, la sveglia del mattino diventa complicità, la vostra quotidianità mi apre le porte e la vita appare in comune. Le pareti delle camere delineano il vostro isolamento, uno spazio che adesso diventa di tutti.  Il contatto esclusivo con ciascuno e ciascuna di voi, forse prima effimero e marginale, durante una lezione scandita dal suono di una campana, ora diventa discreto e personale e così perdo memoria del mio ruolo precedente. Non trovo invadente il vostro messaggio anche in orario inusuale e non segno ore in agenda, perché insieme abbiamo perso la cognizione del tempo. E dove le condizioni personali vi hanno diviso dagli altri, io ho provato a colmare le differenze e a mantenere un discreto silenzio. E così attendo con piacere di rivedervi e di risentirvi per ospitarvi nella mia casa, continuando ad indossare gli abiti da uscita e i monili visibili, con la stessa cura di prima, per onorarvi e compiacervi, sia pur nel mio immaginario.
E mi appare la ratio di tutto ciò:  poiché il momento che ci accomuna è un cammino di vita che non conosce precedenti, né età, né luoghi reali o virtuali, ma solo speranza per un futuro certo, non resta che condividere il nostro tempo dilatato e viverlo insieme, pur nella consapevolezza dei ruoli diversi. 
Ma un merito inconsapevole che vi è dovuto sarà quello di avermi fatto scoprire un nuovo spazio di riflessione, di aver trovato il tempo di curare i dettagli della nostra amicizia e di aver suscitato in me nuove emozioni, quelle che ad una certa età non riconosci o non ti entusiasmano più, quelle che qui, invece, hanno superato anche le distanze. 
Grazie, la vostra prof


Dad  e l’opportunità di una sperimentazione che apre ad un mondo nuovo

 di Caterina Chiofalo, insegnante di Letteratura Italiana  –Liceo scientifico- Catania

A distanza di un mese possiamo fare una prima verifica del lavoro svolto. Com'è andata? Personalmente mi sento soddisfatta del mio lavoro e di quello delle ragazze e dei ragazzi.
Dopo la faticaccia iniziale, ma che perdura,  (dal chiuso del mio studio ho dovuto imparare da sola l'utilizzo delle nuove piattaforme e le conseguenti nuove  caratteristiche della D A D, metodologie, strategie di insegnamento, valutazione, tecniche di coinvolgimento e motivazioni delle alunne e degli alunni) il mio impegno è stato premiato.
Le discenti e i discenti hanno risposto positivamente. La tecnologia , tanto amata dalla gioventù, li ha coinvolti piacevolmente e anche i più pigri e le più pigre non avevano più scuse: si trattava del loro mondo, del loro sistema preferito di comunicazione.
 Per  noi insegnanti , per un verso, i dispositivi digitali offrono l’opportunità di strumenti che aperti alle    aspirazioni conoscitive dei ragazzi e delle ragazze.   Occasione per meditare sulla rimodulazione degli  antichi "saperi essenziali".  
Che cos'è davvero importante? E’ tempo di fermarci e  porci questa domanda. Bisogna scoprire che cosa può interessare un giovane del terzo millennio e, per di più, in una situazione di emergenza. Ecco, dunque, come un  semplice cambiamento della tecnica di insegnamento può venire in aiuto e  far meditare , sperimentando, sul  rapporto fra la conoscenza e le nuove generazioni, tra gli insegnanti e le insegnanti ,da una parte ,e i discenti le discenti, dall'altra, almeno con i più grandi.
              Io insegno in un liceo e posso dire che i più  mi hanno seguita e con entusiasmo. Qalcuno   ha fatto faticato, spesso per le  problematiche che la scuola da sola non può certo risolvere.
Qualche difficoltà in più ho riscontrato, infatti, con i/le più giovani, i ragazzi e le ragazze del primo anno , che ancora da poco tempo si erano adattati/e alla realtà della scuola superiore e sono rimaste/i spiazzati da questo cambiamento repentino. Ma credo che una didattica mista, come quella che si prevede per il prossimo anno scolastico, potrebbe essere efficace anche per loro , che , supportati da alcune lezioni in presenza, neessarie per un approccio più diretto e guidato all'apprendimento , sicuramente si abituerebbero alle infinite possibilità della didattica telematica.



LA SCUOLA  AL TEMPO DEL CORONAVIRUS  e la nostalgia della scuola reale
di Santina Giuffrida,  insegnante di Letteratura italiana   –Liceo scientifico- San Giovanni La Punta-Catania

All’improvviso, da un giorno all’altro la vita è cambiata, le scuole sono state chiuse, tutto si è fermato, ma in realtà nulla si è fermato.
La scuola si è dovuta reinventare…ma è sempre stata un punto di riferimento fondamentale per ogni studente.
 Docenti e alunni  non hanno mai interrotto la comunicazione, prima attraverso i social con gruppi classe già esistenti o subito costituiti e successivamente mediante la nascita di classi virtuali su piattaforme con audio e videolezioni, verifiche scritte e interrogazioni. Un vero terremoto…
Docenti di ogni ordine e grado si sono  autoaggiornati  ed adattati  a tecniche nuove di comunicazione a cui la scuola non era abituata e talvolta… senza indicazioni chiare.
Gli alunni poi, molte volte  privi degli strumenti informatici indispensabili allo scopo, computer e tablet, hanno improvvisamente visto nel cellulare, fino a quel momento mezzo di comunicazione amicale e di gioco, un supporto prezioso per l’attività didattica.
 La scuola è flessibile, si reinventa e sperimenta ma quanta fatica! Quanto lavoro, senza tempo, senza confine. 
Molti alunni stanno comprendendo solo oggi la bellezza di frequentare ogni giorno, di incontrare i compagni in presenza, di dialogare con gli insegnanti e tanti docenti stanno utilizzando pratiche didattiche che mai avrebbero pensato di adottare.
Forse  da questa esperienza terribile usciremo tutti cambiati, in meglio…
La pandemia ha messo in crisi le certezze del mondo contemporaneo, ha rafforzato negli Italiani  e nelle Italiane il senso di appartenenza al proprio grande Paese , ha dato valore a quanto davamo per scontato e ci ha fatto riscoprire l’importanza dei rapporti umani e la bellezza della libertà.


DAD, una normalità da emergenza 

di Carmen Cusimano, insegnante di Lingua inglese  –Liceo scientifico- Catania
   
L'ultimo acronimo familiare a tutti gli Italiani è  DAD, croce e delizia di studenti e docenti. Venuto fuori a seguito di una grave emergenza nazionale, è la risposta fattiva, prepotente e forte di una categoria di professionisti che, ancora una volta , dimostrano la loro capacità di modulare le abilità e piegarle alle esigenze cogenti. Se in un primo momento la drammaticità della situazione nazionale aveva preso il sopravvento, lasciando tutti sgomenti, è bastato poco per comprendere che bisognava darsi da fare. Ancor prima che le scuole di appartenenza si organizzassero con piattaforme dedicate, più o meno sicure in termini di privacy, già  docenti e alunni si erano organizzati per continuare il percorso formativo interrotto troppo presto. Nella mia esperienza con 6 classi, ho registrato una risposta positiva da parte della maggior parte dei miei alunni, molti di loro hanno avvertito e avvertono la necessità di questo appuntamento quotidiano per mantenere quella socialità negata, quella parvenza di normalità. Alcuni trovano questa metodica più efficace dal punto di vista didattico, altri faticano a star dietro uno schermo dal quale spesso si rendono invisibili nel caso della video lezione (la videocamera non funziona, la connessione è intermittente , il microfono si è rotto, ho finito i giga), altri ancora rispondono all'appello poi scompaiono, taluni fanno colazione a tutte le ore, perfino “ mi scusi devo andare a mangiare, mamma mi chiama” alle 12.40.
Ma quel che manca è il gruppo classe, la normalità. In realtà  ho registrato una maggiore costanza nella produzione scritta , benché la tentazione del copia incolla  che fa produrre loro testi accademici è forte! Ma almeno si impegnano, forse è anche la giusta occasione per comprendere che internet non è solo usare i social, ma anche navigare per conoscere, documentarsi, comparare, apprendere.
Se per gli studenti la DAD è diventata la normalità, il lavoro che sta dietro è notevole, per rendere accessibile la lezione che manca di gestualità, di sguardi , di condivisione fisica, di empatia,  i/le docenti hanno reinterpretato e ripensato il modo di svolgere la lezione preparando mappe, percorsi guidati , proponendo link dalla rete, sperimentando   nuove strategie didattiche. Ma questo è il nostro lavoro, rimodulato davanti ad un freddo dispositivo elettronico surrogato del gruppo classe!



DaD: tra inadeguatezza e positività
di Maria Pia Dell'Erba, docente di materie letterarie

Lo smart working dell’insegnante ha già una sua sigla: DaD, Didattica a Distanza. Un altro acronimo che si va ad aggiungere al vocabolario di termini occulti che fanno parte della burocrazia kafkiana della quotidianità della scuola. Nomi arcani che solo gli iniziati possono decifrare e utilizzare con scioltezza e che compongono una neolingua che si arricchisce ogni anno di neologismi dal suono cacofonico. Ci siamo abituati al POF che è diventato PTOF, all’ASL che è diventata PCTO, parliamo con disinvoltura di PON, da non confondere con POR, di RAV, di AD e di tanto altro. 
Uno dei pochi aspetti positivi della Buona Scuola renziana, l’unico a mio avviso, è stato lo sforzo, fin qui per lo più vano, di promuovere l’aggiornamento in massa della classe docente sullo sviluppo delle competenze digitali. L’emergenza ha colto impreparati i più: e non parlo solo dei docenti. Perché i nativi digitali si sono scoperti impacciati e inadeguati, pure loro incapaci di muoversi con sicurezza tra piattaforme e videolezioni. Ma se l’inadeguatezza delle competenze digitali tutto sommato è semplice da sanare, basta volerlo, perché è sufficiente seguire i canali di generosi youtuber che in pochi minuti colmano baratri di ignoranza tecnologica con pillole di saggezza digitale, invece la DaD ha messo in luce inadeguatezze ben più importanti, che affondano nell’organizzazione profondamente antidemocratica della nostra società. Le scuole e gli alunni più disagiati ne pagano le conseguenze: il divario economico e sociale di scuole e famiglie non è più un dato da statistica, adesso si mostra in tutta la sua drammaticità soprattutto nelle scuole elementari di quartiere, nei bambini che stanno imparando a leggere e scrivere e che di questo momento storico riporteranno cicatrici culturali profonde che solo la loro volontà di rivalsa potrà sanare. Non è colpa loro, non è colpa della loro istituzione scolastica di appartenenza, non è colpa dei loro insegnanti. E’ colpa di tutti noi che abbiamo contribuito a costruire questa società così come è: antidemocratica, elitaria, egoista.
Ma se possiamo trovare un insegnamento veramente utile in questa situazione di emergenza è constatare che l’inadeguatezza nella gestione dei nostri rapporti a distanza è incolmabile.  Non ci sono video tutorial esaustivi, non c’è digitale che ci educhi, non ci sono piattaforme che possano sostituire il piacere di incontrarsi, parlarsi, toccarsi. Ed è cosa buona e giusta. Perché lo sapevamo, ma l’abbiamo verificato in questi giorni, che siamo necessari gli uni agli altri, che tra insegnanti e alunni è importante interagire in presenza, non solo per trasmetterci conoscenze e competenze: magari per litigare in santa pace, per amarci e odiarci a giorni alterni, per vivere insieme.
Nelle azioni partorite dal disagio dell’emergenza di questi giorni, il Miur ha dimostrato saggezza eliminando Invalsi e PCTO. Odiosi turpiloqui di un vocabolario da burocrati da tavolino che rimandano a progettualità inefficaci e antidemocratiche, che riducono le une, le prove Invalsi, a selezionare eccellenze da statistica, gli altri, i PCTO, ad asservire la Scuola alle divinità del Profitto e dell’Economia.
Adesso è il momento di fare un altro passo avanti per i nostri ragazzi: vengano eliminati i test di accesso all’università, strumenti satanici di selezione antidemocratica, lesivi di sacrosante libertà personali. I giovani in questo momento sono privati dei loro affetti, delle loro passioni, della loro quotidianità; in cambio avranno un mondo da ricostruire, un’economia da ricomporre, dei rapporti sociali da reinventare. Piuttosto vengano stimolate e favorite le loro progettualità; o meglio, i loro sogni e i loro desideri. Per il resto non rimane che da rimboccarci le maniche e metterci a lavoro. 










La Dad alla scuola primaria e il bene primario dell'istruzione  

di Paola Cinquerrui, insegnante della scuola primaria-Catania

 Assioma della pedagogia è che non c’è apprendimento se non c‘è la relazione tra insegnanti e discenti e, in questo momento di emergenza sanitaria, anche il Ministero dell’Istruzione ha sollecitato il corpo docente a mutuare l’ambiente di apprendimento-classe nella classe virtuale della didattica a distanza (DaD), mantenendo soprattutto con le bambine e i bambini più piccoli una relazione che vada al di là della semplice assegnazione di compiti. Nel contempo però il MIUR raccomanda che si attuino metodi che consentano alle alunne e agli alunni di operare in autonomia, non solo “riducendo al massimo gli oneri a carico delle famiglie (impegnate spesso, a loro volta, nel lavoro agile)”, ma anche evitando loro rischi alla salute derivanti da un’eccessiva permanenza davanti agli schermi. Questo fa sì che nella scuola Primaria la DaD sia una sfida ancora più grande di quella realizzabile nella scuola secondaria.
Le nostre piccole bambine e i nostri piccoli bambini, benché nativi digitali, hanno necessità del supporto dei genitori per fruire dei contenuti o per entrare in videoconferenza con le/gli insegnanti. In tale contesto, la mia esperienza mi fa rilevare che da una parte ci sono genitori che chiedono a viva voce di mantenere contatti costanti tra la scuola e le alunne e gli alunni, auspicando videoconferenze ed incontri on line calendarizzati e periodici. Dall’altra parte non pochi genitori che, alla sola idea di avere tale assiduità, si rifiutano di entrare nel meccanismo di una quotidianità di scuola-virtuale per i più svariati motivi (mancanza di tempo, penuria di strumenti tecnologici, altri/e figli/e da seguire, scarsità di connessione, questioni di coscienza e di credo educativo, ecc.). Senza parlare poi dei genitori che stanno vivendo in prima linea l’emergenza o perché facenti parte del personale sanitario o perché attaccati dal coronavirus che li devasta prima di tutto psicologicamente. Nel mezzo di questi estremi ci sono miriadi di casi familiari ancora più sfaccettati.

Tale eterogeneità di situazioni e condizioni delle famiglie non può che rendere difficile il nostro lavoro di docente che, se in classe riesce a "livellare" le diseguaglianze, ascoltando, osservando, considerando nella loro individualità bambine e bambini, rintracciando in ciascuno di loro possibilità e limiti, al fine di disegnare per ognuno uno specifico percorso di apprendimento, al contrario in queste condizioni di emergenza l’insegnante deve attuare una Dad che non sottolinei tali differenze. E comunque deve fare una scelta che possa incontrare le esigenze di tutti/e o quanto meno della maggioranza delle alunne e degli alunni, operando caso per caso nei confronti di coloro che hanno situazioni al limite.Se ci ragioniamo su, ci rendiamo conto che questo è il classico contemperamento di interessi che nel nostro caso richiama i fondamentali diritti costituzionalmente garantiti: diritto allo studio di alunne/i (oltre che diritto alla salute), libertà di scelta educativa delle famiglie e libertà di insegnamento del corpo docente.


E non a caso li riporto proprio in quest’ordine che secondo me è quello che permette di avere un quadro chiaro sia alle/agli insegnanti che alle madri e ai padri. Ognuno di noi, qualunque sia la categoria a cui appartiene, deve prima di tutto tutelare il bene più grande che è l’istruzione della propria figlia/alunna o del proprio figlio/alunno, privilegiando comunque l’umanità, il legame affettivo e autentico, il dialogo, in qualunque maniera sia possibile. Poi, a fronte di qualunque metodologia/contatto, viene prima la libertà di scelta educativa delle famiglie che, dovendo garantire sempre e prima di tutto il diritto allo studio, hanno la possibilità di stabilire cosa sia meglio per la crescita morale e spirituale della propria prole. Infine il diritto alla libertà di insegnamento propria delle/dei docenti che, nell’obbligatorietà della DaD, applicano la metodologia e la didattica che ritengono più opportune per far raggiungere alle proprie alunne e ai propri alunni quegli obiettivi che essenziali per l’acquisizione delle competenze, anche umane e relazionali.



Comincia qui il racconto dell’esperienza della didattica a distanza al tempo della chiusura delle scuole.
Riflessioni che partono da una contingenza e si espandono alla scuola che vorremmo


Dad, con un sguardo al delicato e sconfinato lavoro dell’insegnante

di Marilena Adamo- insegnante di Lingua inglese  –Liceo scientifico- Catania

Dal 7 marzo 2020 la teledidattica ha fatto irruzione nella vita di ogni docente   e ci ha indotto in pochissime ore a domandarci cosa e come fare per le nostre ed i  nostri studenti, rimetterci in gioco, sperimentare e veicolare i tradizionali contenuti didattici in una nuova veste. Sino a quel momento la teledidattica era per me perlopiù uno strumento di autoformazione, attraverso i cosiddetti webinar, e verifica al termine di ogni unità di un  master, corso di perfezionamento o corso universitario online.
La mia esperienza di docente "teledidatta" alle prese con sei classi e due bimbi piccoli è complessa ed ha vantaggi ma anche svantaggi.
Il primo scoglio da superare è stato quello di rivedere i nostri programmi non più alla luce del raggiungimento degli obiettivi minimi per la conoscenza dei contenuti, ma la traduzione degli apprendimenti    in competenze. Ho ripensato a tutte le unità e subito mi sono chiesta: "Come possono fare i miei alunni per farmi capire che hanno appreso,  senza scopiazzare dalle enciclopedie online?"
 Da lì l'idea di spingere il pedale dell'accelerazione sulla realizzazione delle mappe concettuali, l'uso di giochi ed applicazioni educative, presentazioni multimediali, realizzazione di poster e infografiche per le tematiche-chiave, creazione di un fumetto con cui capire se i miei studenti sapessero applicare una regola di grammatica in nuovo contesto.
Questo aspetto  ha dato  subito soddisfazioni: ragazze e ragazzi  hanno realizzato dei lavori creativi che mi hanno stupito, divertito e mi hanno fatto conoscere aspetti del loro carattere per me nuovi.
In questo mese ho ripensato alla mia griglia di valutazione e adesso la voce partecipazione e rielaborazione critica hanno un peso maggiore rispetto al passato.
Non tutti i miei studenti hanno potuto però partecipare: mi ha lasciato sorpresa constatare quanti di loro  hanno solo la tastiera del telefonino come terminale di videoscrittura (eppure molti di loro hanno festeggiato recentemente 18 anni in modo faraonico, persino con viaggio premio all'estero!) oppure non riescano a connettersi, perché vivono in zone ancora poco coperte o abbiano un piano tariffario mensile limitato. Alcuni di loro mi hanno scritto per segnalare i loro problemi, altri invece sono rimasti confinati a casa e spesso lo hanno riferito solo ai compagni.
Questo mi ha fatto capire quanto sia importante nella teledidattica il dialogo ed il clima di fiducia docente-alunni e il ruolo svolto dai rappresentanti di classe, che spesso ti aiutano a capire le paure, i malumori, le fragilità dei compagni, che magari non hanno difficoltà economiche, ma si sono chiusi in cameretta in una sorta di trance davanti a Netflix, un'intera giornata con il pigiama, perché non possono più praticare sport e allora non ha più senso uscire dalla propria stanza.
Ho avuto modo di capire che sono cambiate le problematiche di alcuni alunni (si accentua la solitudine, la dipendenza da dispositivi informatici, l'astenia, l'apatia, ma anche la rabbia e la frustrazione per non poter uscire con gli amici, fare una passeggiata o la paura di fronte alle notizie del contagio) e più volte ho preso carta e penna (cosa che prima non avrei mai fatto) e ho scritto per chiedere cosa non andava. Quindi ho modificato le modalità di interazione con la classe (più email, ma no Whatsapp!).

La mole di lavoro è sicuramente aumentata, ma anche le nostre energie sono messe a dura prova: dopo due ore di progettazione (navigazione su Internet, lettura e confronto fra più fonti, scelta, manipolazione testuale, ecc.) la vista si appanna, sopraggiunge una sensazione di nausea (mai avvertita prima), inizia l'emicrania: quindi a mio avviso, una ripercussione sulla nostra salute psico-fisica c'è.
Per questa ragione si avverte poi il bisogno di staccare e riprendere dopo un po’, magari a visualizzare i lavori svolti o correggerli. Di fatto, non c’è più uno stacco fra ambiente scuola e ambiente casa; anzi la nostra (con i nostri corredi) è come se fosse messa a disposizione dei nostri studenti, che dalla webcam sbirciano il quadro con il voto di laurea della professoressa, piuttosto che l'orologio-angoliera, che non segna più l'ora!
Questi sono aspetti che fanno sorridere  ma mettono sì in luce alcune criticità legate alla privacy nostra e dei nostri alunni.
Purtroppo non posso e poi non lo ritengo neanche giusto (per il consumo di batteria, Giga, ecc.) proporre le mie 18 ore canoniche di videolezione sincrona e per fortuna questo non è stato preteso!
Non solo:  sono madre di  due bambini   di 6 e 4 anni e mi sono all’improvviso  a far loro da insegnante in un turbine di attività da scaricare, vigilare durante lo svolgimento e scansionare a più riprese durante il giorno e contemporaneamente a svolgere l'attività didattica per le mie classi e questo mi dà la sensazione a tratti di scoppiare, non sapere come districarmi.
Sto facendo bene a riprendere mia figlia se scrive i caratteri dal basso verso l'alto o no?
Ecco,  lamento la mancanza di un supporto materiale (la presenza di una babysitter) o psicologico (  che mi aiuti a concentrarmi sulle cose più importanti, focalizzare l'attenzione sul qui ed ora e dominare le sensazioni negative).
Poi però penso che la flessibilità mi permette di spostare una data di scadenza e questo mi fa sentire più tranquilla.
Tuttavia vorrei che i nostri diritti venissero anche ridefiniti di fronte all’impegno sconfinato  della teledidattica: diritto alla disconnessione il pomeriggio, giorno libero e festivi rispettati;  condivisione virtuale definita nei tempi, in cui non può rientrare l’invio di compiti e di richieste di assistenza didattica , di chiarimento didattico, nelle orali serali o notturne.