Introduzione
di Pina Arena
Perché il nostro seminario? Perché ora?
Ripartiamo con la formazione-docenti sui temi della didattica
e dell’educazione alla parità.
È la nostra settima annualità e cade in un tempo difficile e
diverso che rende ancor più urgente e necessario il nostro lavoro di donne e
uomini di scuola.
Viviamo una pandemia,
un’emergenza, un cambiamento ed una crisi
epocale, sociale, economica, culturale. Una crisi che rischia di
oscurare i problemi della disparità di genere, di rendere più fragili le
conquiste della democrazia pari. La violenza sulle donne non si ferma,
anzi colpisce più di prima e
s’inasprisce in un tempo di impoverimento dell’umanità e specialmente delle donne.
La violenza, faccia estrema della disparità e della
discriminazione, è un problema culturale
e deve essere al centro della
riflessione a scuola, anche e
specialmente in questo tempo difficile.
È anche tempo di
cogliere, all’inizio di un anno di scuola, una grande opportunità: entra in vigore la nuova legge relativa
all’introduzione dell’educazione civica che, a mio parere, presenta debolezze, ma
offre una grande occasione di riflessione e sperimentazione didattica. Dovremo riparlarne poi, alla
fine di percorsi didattici realmente vissuti, per proporre modifiche
e riletture motivate e costruttive. Con una certezza: la scuola può essere il
centro e la via di risalita e ripensamento di un Paese e del Mondo.
La nuova legge lascia solo in apparente invisibilità e
minorità i temi dell’educazione alla parità.
Non esplicitamente nominata nei tre titoli dei tre ambiti
descritti dalle linee-guida (Costituzione, Sostenibilità e Agenda 2030,
Cittadinanza digitale), in realtà l’educazione alla parità, è in ognuno dei
tre ambiti della legge. Certo, da
sviluppare e far emergere, con “ occhiali di genere” per poter acquistare la sua giusta
dimensione: porsi come la più
trasversale e la prima delle
“educazioni “ alla democrazia e allo sviluppo.
-Il limite degli spazi orari indicati, il vuoto
di risorse economiche aggiuntive o il nodo della valutazione saranno alcuni degli
ambiti su cui riflettere. La stessa indefinetezza della
disciplina, che tanti dubbi ed incertezze solleva, in
realtà può essere la sua forza e la vera opportunità: ci viene dato e disegnato un contenitore , uno spazio istituzionale da
disegnare, da modulare all’interno. Ne abbiamo i contorni, i pilastri , ma non si
abita un edificio fatto di soli
pilastri, la casa è altro. Siamo chiamati a disegnarla.
Ora tocca a noi farne tesoro e mettere a sistema quanto abbiamo
costruito nel tempo: valorizzare e
collocare in un curricolo le esperienze virtuose di questi
anni ed altre che vorremo creare e pensare.
Passarle ad altri insegnanti, ad altre scuole. FARLE DIVENTARE PRASSI
CONDIVISE e SISTEMA.
Terremo conto di alcuni puntelli imprescindibili della
didattica di genere: l’educazione alla
parità non può essere una finestra aggiunta; deve permeare tutti percorsi di educazione, attraversare ciascuno
dei percorsi civici, aprendo prospettive diverse da cui DESTRUTTURARE LA CULTURA
PATRIARCALE, del l’uomo padrone e
dominatore, del mondo che viviamo ,
dispari, verticistica, piramidale. È la cultura che ha creato il mondo che , lo
sappiamo perché ne viviamo la crisi, va ripensato e riletto. Destrutturare, quindi, per costruire su valori
civici nuovi. Ora partiamo proponendo alcune pratiche ”civiche virtuose” tra
letteratura latina, inglese, cittadinanza digitale; una
preliminare riflessione sulla didattica dei genere come didattica della
consapevolezza di sé dalla scuola
primaria ; una fondamentale riflessione sull’uso della lingua e del linguaggio di genere.
Per avviare il nostro viaggio abbiamo voluto voci della
scuola, di insegnanti che hanno
elaborato proposte sperimentate.
Nei prossimi incontri avremo il racconto delle donne e uomini dell’università e del mondo
dell’associazionismo. Restando centrale la scuola. Come da sette anni,
siamo in cooperazione con l’IIS”G.B.Vaccarini”, quest’anno
anche con l’assessorato alla
Cultura e all’istruzione del Comune
di Catania e con Asvis.
il nostro seminario, primo di
quattro, rientra nel Festival della
Sostenibilità ambientale. Il luogo: la Biblioteca pubblica Bellini di Catania,
“granaio” ci cultura antica e nuova.
Il prossimo seminario a Dicembre, sarà anche in webinar.
Pubblicheremo materiali del seminario sul blog A scuola di parità.
Art. 1 Educare cittadine e cittadini responsabili
L’art. 1 della legge n.92 del 20/8/2019, che istituisce l’insegnamento dell’Educazione
civica nelle scuole, sancisce letteralmente che “L'educazione civica contribuisce
a formare cittadini responsabili e attivi e a promuovere la partecipazione piena
e consapevole alla vita civica, culturale e sociale delle comunità, nel rispetto delle regole,
dei diritti e dei doveri.”
Il titolo del mio
intervento, “Art. 1 Educare cittadine e cittadini responsabili”, se da un lato
riconduce immediatamente al primo articolo della legge istitutiva della
disciplina dell’Ed. Civica, dall’altro vuole richiamare “qualunque art. 1 di
una qualsiasi legge” che stabilisce ed enuncia espressamente il principio da
essa perseguito.
E così come il primo
articolo di una legge detta il suo principio fondamentale, la ratio per cui essa è stata sancita, per
analogia sono portata a riflettere sul principio fondamentale che permea il
nostro lavoro di insegnanti che peraltro coincide esattamente con l’art. 1
della legge: educare cittadine e cittadini responsabili.
Questa è appunto la nostra
ragione d’esistere come professioniste e professionisti. Se questo è sempre
stato l’obiettivo di ogni insegnante che fa bene il proprio lavoro, oggi (e
ancora una volta) il legislatore, con l’introduzione della disciplina Ed.
civica, pone l’attenzione sulla necessità di far percepire a studenti, famiglie
ed anche docenti che tale principio è sostenuto e perseguito nella scuola in
maniera sistematica, intenzionale e quotidiana, tanto che si pone come
insegnamento trasversale a tutte le discipline ed è affidata, soprattutto nel I
ciclo, a tutte le docenti e a tutti i docenti.
Se il principio suddetto è
un assioma del nostro intervento educativo, la prima questione che si pone è quindi: perché è importante educare
cittadini e cittadine responsabili in un’ottica di pari opportunità,
intese queste come “assenza di ostacoli alla partecipazione economica, politica
e sociale di qualsiasi persona per ragioni, nel nostro caso, connesse al genere”?
La seconda questione è: in che modo educare cittadini e
cittadine responsabili un’ottica di pari opportunità? E come inserire il nuovo
insegnamento dell’Educazione civica alla luce delle pari opportunità all’interno
del curricolo del primo ciclo?
Per quanto riguarda la prima
questione, tanti sono i motivi per cui è fondamentale inserire le pari opportunità
sin dalla scuola dell’infanzia all’interno dei nostri insegnamenti, primo fra
tutti è quello di contrastare il tragico fenomeno dei femminicidi e degli abusi
sulle donne che si insinua in tutte le società ed attraversa tutte le fasce
d’età, tutte le classi, tutti i livelli di istruzione e di reddito, dimostrando
che si tratta in realtà di un estremizzazioni di una cultura patriarcale nella
quale il potere delle decisioni è ancora affidato all’uomo. Un problema quindi che
riguarda la qualità del rapporto di uomini e donne, l’asimmetria della loro
posizione nella società e nella cultura.
Il documento dell’USR
Sicilia, che ha fatto da introduzione al
corso “Percorsi di libertà – Come contrastare la violenza contro le donne”,
aperto ad insegnanti della Sicilia ed attivato dalla stessa Istituzione, ha
chiaramente ribadito che “Su questo
problema la scuola può fare molto perché è nella scuola che le nuove
generazioni possono cominciare a sperimentare le forme di una possibile cultura
e convivenza civile non violenta fra i sessi”.
Oltre al problema del
femminicidio, si rileva anche il problema dell’attuale disparità di opportunità
lavorative tra uomini e donne nella nostra società, dove la donna, se lavora, è
ancora lecito che guadagni meno dell’uomo; dove la donna, quale soggetto che per
tradizioni secolari si occupa della cura della famiglia, è ancora responsabile
esclusiva del duro lavoro casalingo che affianca quello fuori casa. Per non
parlare del fenomeno, che in questo momento storico è esploso anche a causa del
mascheramento della propria identità sui social network, degli insulti sessisti
nei confronti delle donne, pubbliche o private cittadine che siano, compiuti paradossalmente
talvolta anche da donne.
Se oggi educhiamo al rispetto della differenza e alle pari opportunità,
avremo domani donne e uomini solide/i
e solidali e avremo creato le condizioni per una società in cui ogni individuo,
uomo o donna che sia, si senta libero di esprimere se stesso nel modo in cui
ritiene più opportuno per sé, senza forzature né condizionamenti culturali.
Fin dalla premessa alle
Indicazioni per il Curricolo per la Scuola dell’Infanzia e per il Primo ciclo
di Istruzione del 2012, si pone a fondamento delle finalità della scuola “lo sviluppo armonico e integrale della
persona, all’interno dei principi della Costituzione italiana e della
tradizione culturale europea nella promozione della conoscenza e nel rispetto e
nella valorizzazione delle diversità individuali con il coinvolgimento
attivo degli studenti e delle famiglie”.
Circa la scuola dell’infanzia,
le Indicazioni sottolineano che “Vivere
le prime esperienze di cittadinanza (...) implica il primo esercizio del
dialogo (...), il primo riconoscimento di diritti e doveri
uguali per tutti;
significa porre le fondamenta di un comportamento eticamente orientato,
rispettoso degli altri,
dell’ambiente e della natura”.
Per la scuola primaria si dice altresì che “l’educazione alla cittadinanza viene
promossa attraverso esperienze significative che consentano di apprendere in
concreto il prendersi cura di se stessi, degli altri e dell’ambiente e che
favoriscano forme di cooperazione e di solidarietà”.
La seconda questione è…in che modo possiamo/dobbiamo
educare cittadini e cittadine responsabili un’ottica di pari opportunità?
E come inserire all’interno del nuovo insegnamento dell’Educazione civica le
pari opportunità?
In particolare nel primo ciclo dove l’età delle alunne e degli alunni
parte dai tre anni nella scuola dell’infanzia, da sei nella scuola primaria ed
arriva a 13/14 nella terza secondaria di I grado, è veramente delicato
strutturare dei percorsi appositi in ragione al periodo vissuto. Le docenti ed
i docenti devono essere formati appositamente ed essere in possesso competenze
tecnico-relazionali finalizzate all’obiettivo ed è già sin dalla più tenera età
che si deve fare in modo che non si formino nella mente o si scardinino quegli
stereotipi che poi andranno a far parte del patrimonio culturale di ognuno.
Le finalità sono
quelle di:
- promuovere modelli
educativi aperti al confronto delle idee e dei valori, alla conoscenza delle regole
di convivenza democratica
- sviluppare la capacità
critica del comprendere la differenza uomo/donna come differenza fondante,
valore imprescindibile e risorsa da proteggere
- educare alla gestione non
violenta dei conflitti.
Venendo in particolare
all’insegnamento dell’Ed. Civica, mi sembra che l’educazione alla parità non sia
individuata come una priorità del legislatore il quale ha evidenziato i tre
nuclei concettuali, pilastri della disciplina (come le linee guida riportano):
1.
COSTITUZIONE, diritto (nazionale
e internazionale), legalità e solidarietà
2.
SVILUPPO SOSTENIBILE, educazione
ambientale, conoscenza e tutela del patrimonio e del territorio
3.
CITTADINANZA DIGITALE
All’interno di questi
cardini è certamente possibile e doveroso trovare un percorso per collocare la
formazione relativa alle pari opportunità.
Circa il primo punto, si
può analizzare innanzi tutto la partecipazione delle donne all’Assemblea
costituente. Le madri costituenti hanno infatti dato un contributo fondamentale
all’approvazione degli articoli sull’uguaglianza, sul lavoro, sulla assistenza
alle famiglie; lo studio delle loro biografie, permette di comprendere il
tenore dei diritti e dei doveri fino ad allora sanciti nonché la condizione
femminile dei primi decenni del Novecento.
Percorsi coerenti possono inoltre
scaturire dall’analisi dell’art. 3 della Costituzione che detta il principio di
uguaglianza delle cittadine e dei cittadini davanti alla legge, senza
distinzione alcuna, anche di sesso.
E sempre all’interno del
primo punto, l’Agenda 2030 individua tra i suoi 17 obiettivi il num.5 e cioè
quello specifico riferito alla parità di genere che mira a ottenere la parità
di opportunità tra donne e uomini nello sviluppo economico, l'eliminazione di
tutte le forme di violenza nei confronti di donne e ragazze (compresa
l'abolizione dei matrimoni forzati e precoci) e l'uguaglianza di diritti a
tutti i livelli di partecipazione.
E così deve essere
presente nella cittadinanza digitale proprio perché oggi molte relazioni tra
persone si fondano proprio sull’uso indiscriminato dei social network.
Ma l’importanza delle pari
opportunità e la trasversalità delle stesse impone che l’educazione alla parità
permei ogni tipo di percorso educativo-didattico da parte di tutte le docenti e
tutti i docenti. Quindi non sia solo prerogativa dell’Educazione civica parlare
di pari opportunità. E’ necessario che l’approccio di ogni insegnante e ogni
sua azione didattico-educativa sia rivolto a veicolare messaggi di parità; se
questo avviene, chiaramente sarà più facile per le bambine ed i bambini
interiorizzare quella eguaglianza di diritti e doveri nella differenza di
genere.
La parità deve essere
messa al centro dell’ispirazione dell’agire in classe e le bambine e i bambini
devono avere chiara la visione che i principi di parità vengono applicati nella
quotidianità.
Affinchè le finalità possano essere
raggiunte con efficacia, l’insegnante deve avere cura di:
§
rivedere la grammatica di genere e il proprio approccio comunicativo con
alunne ed alunni, prestando maggiore attenzione ad una comunicazione scritta ed
orale comprensiva dei due generi presenti in classe. Un semplice ma efficace
esempio è che l’insegnante entra in classe e saluta dicendo: "Buongiorno
bambine e bambini!"; lo stesso lo fa rivolgendosi al gruppo e anche
parlando con i genitori.
§ mettere cura nell’adozione di testi che accolgano la
grammatica di genere (Irene Biemmi, in Educazione sessista. Stereotipi di
genere nei libri delle elementari, dice: “I
libri di testo hanno un’influenza decisiva nella formazione dell’identità dei
soggetti: immagini e contenuti possono fissarsi come modelli inconfutabili. Ci
si aspetta che un testo scolastico fornisca un’immagine realistica della
società e suggerisca alle bambine e ai bambini una grande varietà di modelli,
di situazioni da cui attingere per costruire un’immagine di sé e del mondo
esterno”);
§
valutare insieme alle/gli altre/i colleghe/i l’inserimento nel PTOF del
punto che riguarda il rispetto delle pari opportunità da parte di tutto il
personale della scuola;
§
dare peso all’uso delle parole “differenza” e “parità” (ove per parità si
intende un’accezione legata esclusivamente ai diritti acquisiti nel tempo e
all’emancipazione femminile e non all’essere delle donne uguali in tutto e per
tutto agli uomini).
Come declinare nelle classi,
le attività in questione? Si darà spazio all’attività ludica e calibrata
dall’insegnante in base all’età delle alunne e degli alunni; nelle classi si
opererà una costante riflessione sulle azioni quotidiane dettate dagli
stereotipi di genere e, con una presa di coscienza graduale, si canalizzeranno
opportunamente gli atteggiamenti.
Si auspica di attuare un
cambio di prospettiva della didattica quotidiana che sia foriero di
rinnovamento culturale e che proponga ad alunne/i dei modelli di genere non
solo maschili ma anche femminili.
Esempi di donne nel nostro
quotidiano, presente e passato, esempi della storia comune, lettura di testi,
anche legislativi, analisi di pubblicità e di programmi televisivi, visione di
film ed altro ancora possono essere gli spunti da cui partire per dibattere,
riflettere ed operare una vera e propria rivoluzione culturale a partire dalle
classi.
Un elenco non esaustivo
delle possibili proposte didattiche da svolgere, da condividere tra colleghe/i,
con l’impegno di uno scambio continuo di pratiche migliori, potrebbe essere il
seguente:
§
Gioco dei colori: provare ad attribuire in un qualunque gioco il colore
azzurro alle femmine e il colore rosa ai maschi, osservare il risultato per poi dibatterne.
§
Gioco dell’albero genealogico e dei cognomi: prendiamo tutti il cognome
paterno, perché? Esempi di altri paesi come la Spagna in cui i figli e le
figlie prendono il cognome di entrambi i genitori;
§
Gioco dei Presidenti e delle Presidenti della Repubblica dei Paesi del
mondo: chi ha una Presidente donna?
§
Inchiesta/Intervista: Siamo come le nostre nonne e i nostri nonni?;
§
Analisi e rielaborazione di spot pubblicitari carichi di stereotipi di
genere (es. pubblicità di giochi pensati specificamente per le femmine e per i
maschi);
§
Analisi e rielaborazione di cartoni animati carichi di stereotipi di
genere (es. Braccio di Ferro nell’episodio “Amore in gabbia”);
§
Canto e analisi del testo musicale Il Casalingo del Piccolo coro
dell’Antoniano;
§
Ricerca e studio di biografie di donne scienziate, letterate, artiste
che, pur non avendo un paragrafo sui testi di scuola ed essendo state messe da
parte dalla Storia, hanno dato un grande contributo al nostro Paese;
§
Ricerca e studio di biografie di donne comuni, non famose, appartenenti
al quotidiano di alunne/i che hanno dato contributi fondamentali al nostro
Paese e all’emancipazione della donna, per aver frequentato scuole riservate
culturalmente solo agli uomini (es. bis/nonna diplomata o laureata) o per la
professione svolta (bis/nonna medica, avvocata, o che ha svolto un lavoro
prettamente riservato nel tempo agli uomini) o per l’impegno sociale e politico
(consigliera comunale, assessora);
§
Analisi dei carichi di lavoro del padre e della madre;
§
Lettura di testi narrativi: es. Bianca Pitzorno, Extraterrestre alla
pari; Cecilia D’Elia, Nina e i diritti delle donne;
§
Somministrazione di questionari, per verificare quanto siano radicati gli
stereotipi di genere nelle bambine e nei bambini e avvio del dibattito;
§
Destrutturazione e riscrittura di fiabe al femminile (ad esempio, il
principe azzurro diventa una principessa azzurra);
§
Visione e analisi di film: Sognando
Beckham, Billy Elliot;
§
Visione di cartoni animati: Zootropolis,
Mulan, Lady Oscar.
Norma e Genere
LA REGOLA DEL MATRIMONIO NEL ROMANZO DI JANE AUSTEN
La Austen scrisse prima
della rivoluzione industriale che cambiò profondamente il volto dell’Inghilterra,
senza saperlo la scrittrice stava ritraendo l’ultima generazione di dame e
cavalieri in grado di prendere la vita con allegria , con grazia e
divertimento. Benché sullo sfondo dell’epoca si staglino le guerre
napoleoniche, nei suoi romanzi non c’è menzione, i soldati hanno spesso compiti
mondani, non ultimo quello di attirare le signorine, o come meglio si
individuavano , le ragazze in età da marito.
Il matrimonio è un nodo
cruciale, il mercato del matrimonio era tipico dell’epoca. Mi viene in mente il
dialogo d’apertura tra MRS e MR Bennett
in “Orgoglio e pregiudizio” nel quale la donna è agitata per l’arrivo del nuovo
vicino di casa, MR Bingley, di cui tutte
le signore parlano in quanto ricco e bello, e l’esortazione da lei fatta al
marito di essere il primo a presentarsi al nuovo venuto per invitarlo a casa e
presentare una delle loro 5 figlie, tutte in età da marito. Mr Bennett non
sembra interessato al problema, ma la Austen è proprio abile nell’evidenziare
la necessità della soluzione in modo unilaterale. Con sottile ironia si rivelano in modo perfetto le personalità
dei due interlocutori. Le figlie sono belle e intelligenti, ma di pochi mezzi a
causa dell’inalienabilità della loro proprietà. Il desiderio materno di vederle
sposate è naturale.
La perdita del marito in una società che la definiva in base al suo rapporto con l'uomo, rappresentava per la donna un evento dalle enormi conseguenze sociali, economiche e psicologiche.
Nei secoli precedenti, la moglie dell'artigiano o del commerciante , poiché partecipava in parte al lavoro del marito, riusciva ad affrontare lo stato di vedovanza senza grossi traumi, perché poteva, tenendo comunque conto delle restrizioni che la legge imponeva, continuare indipendentemente l'attività del marito. Nel XVIII secolo, queste opportunità si ridussero per le vedove, poiché il borghese, aspirando allo stato gentilizio e volendo fare della moglie una gentildonna, la escludeva del tutto dalla sua attività, ricorrendo in sua vece ad apprendisti ed aiutanti maschi. Alla morte del marito, pertanto, la vedova non era più nella condizione di badare al proprio sostentamento.
La condizione della donna non sposata, la "spinster", non era di certo migliore, poiché, al pari della vedova, non aveva alcun potere economico. In epoca preindustriale, all'interno della famiglia autosufficiente, c'era sempre stato bisogno del lavoro di una donna non sposata. Ma durante il XVIII secolo, allorquando il commercio si estese e la produzione dei beni di consumo si attestò su livelli industriali, soppiantando le attività di tessitura, cucitura, preparazione del pane, del sapone che precedentemente venivano svolte in casa, l'utilità della zitella diminuì. l'organizzazione capitalistica del lavoro ridusse il potere economico delle donne. Nel momento in cui il posto di lavoro venne separato dalla casa, gli uomini, supportati da un sistema di apprendistato che escludeva le donne, si appropriarono di molti lavori tradizionalmente svolti dalle donne in casa.
Cacciate da numerosi settori del mercato del lavoro, molte donne vedevano quindi il matrimonio come una delle poche opportunità rimaste
Percorsi civici attraverso la letteratura latina
di Maria Pia Dell'Erba
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