Abbiamo raccolto racconti dell’esperienza della didattica a
distanza al tempo della chiusura delle scuole, dal 4 marzo.
Riflessioni che partono da una contingenza e si espandono
alla scuola che vorremmo.
* 14. DAD: fare di necessità virtù, dal magister herectus al magister sapiens
*12. Passione: il “filo di lana” che ci lega
9. *DAD: un’opportunità per una scuola umana?
di Pina Arena insegnante di Lettere, Liceo scientifico Catania
di Linda Adamo, insegnante di diritto-Liceo Scientifico-Catania

*15. DAD Presenze e assenze a scuola ai tempi del Covid-19
Presente! A ogni appello
che si rispetti si risponde presente, se possibile con un po’ di
entusiasmo. Nel primo biennio dell’istituto tecnico di Empoli, dove insegno,
non faccio quasi mai appelli: entro e guardo chi è presente, mentre studentesse
e studenti, come ogni giorno, adagiano brutalmente in terra zaini, finiscono di
bere il caffè delle macchinette e si scambiano parole assonnate: “No prof, oggi
Caio è assente”, “Strano prof, oggi siam tutti presenti!”.
La Dad è didattica senza “presenti”. Assente di certo mi sento io, quando penso a come rendere proficua questa situazione. Didattica che si vede da lontano: non mettiamo a fuoco chi la pratica, come, con chi, con quali mezzi.
Prima di ogni nuova avventura soppesiamo competenze e mezzi per affrontarla: questa volta non è andata così. Siamo partiti senza sapere niente e poi, magicamente, molti hanno iniziato a (far finta di) saper far tutto. Io sto imparando (stiamo imparando) con fatica e preoccupazioni: dopo una prima settimana di totale spaesamento ho iniziato a un po’ a capire, immaginando le vite di studenti e studentesse nel chiuso delle loro intimità. Quelle intimità che intravedo adesso come sfondo alle videolezioni, intimità che possono essere nidi o gabbie.
Il primo contatto con alunne/i e genitori è fatto di messaggi, e-mail, telefonate: con i rappresentanti di classe (anello fondamentale della catena), poi con i ragazzi più fragili. Qualche lato positivo lo intravedo. Avendo meno informazioni quotidiane da focalizzare e memorizzare, gli alunni hanno più tempo per svolgere i compiti assegnati. Servono pazienza e tempo.
Dopo aver imparato come fare lezioni online, guardandosi in faccia e magari fare due risate sui capelli scaruffati di ognuno; dopo aver capito che le attività andavano programmate per tempo, lasciando spazio alla creatività; avendo discusso insieme ai ragazzi circa il carico complessivo di lavoro e le paure di ciascuno: emerge sempre più il bisogno di svincolare le dinamiche didattiche dai rapporti di forza “in presenza”. Elemento chiave: la relazione. Se ragazzi, docenti e famiglie si relazionano, risolviamo problemi. Alunne e alunni vanno guidati negli scambi, come nell’organizzazione e nella scansione del lavoro, non più intrappolati dal suono della campanella. Con questi presupposti riesco a fare davvero didattica “ad personam”.
Speranza c’è quando vediamo come franano, e quindi non abbiano più ragione di esistere, regole che vigono in aula, dove la relazione verticale spesso arriva a soffocare la ragione di esistere di quell’aula: l’imparare insieme. Sembra ridicolo perpetuare le regole “in presenza” davanti alle webcam. Chi avrà il coraggio di seguire questa nuova forma di didattica, vivrà un’esperienza in cui vi è una condivisione orizzontale del sapere e una scelta consapevole nell’imparare, e non un’istruzione imposta dal vertice.
Ovviamente là dove la “gabbia domestica” impedisce l’apprendimento, i ragazzi si trasformano in individui soli e perduti. Perduti nel mare di parole scritte e dette “in lontananza” perché parlano poco o niente italiano; persi dietro muri invalicabili coloro che hanno disabilità legate alla socializzazione; perso chi ha genitori violenti e distanti; persi coloro che devono quotidianamente riconfermare autonomia e conoscenze per non vederle svanire nel vento. I “perduti” sono coloro che per primi dovrebbero rientrare a scuola, per uscire dalla gabbia e ricominciare a condividere.
Inesorabile, con la didattica a distanza, si è mostrato anche il nodo della valutazione. “Prof, ma perché fate verifiche se poi si passa tutti?”; “Il prossimo anno si faranno compiti sugli argomenti svolti online?”. Rispondo che non lo so, che sono incerta e spaesata come loro e non ho risposte, che dobbiamo tutti leggere, studiare, scervellarci per trovare soluzioni inedite. Poi parto con la mia filippica, nel cuore della quale c’è il motivo per cui a mio avviso la scuola esiste: si fa scuola per imparare e/a stare insieme, per correggerci, per graffiarci nel profondo scoprendo la nostra inadeguatezza, per tirare un sospiro e subito rimetterci a correre. Ora siamo tutti in mare aperto a cercare qualcosa che assomigli a ciò che conosciamo e, temendo di non trovarlo, iniziamo a pensare diversamente…
A me quest’anno viene una gran voglia di usare il timbro del Maestro Manzi per tutti/e: fa quel che può. Quel che non può non fa..
La Dad è didattica senza “presenti”. Assente di certo mi sento io, quando penso a come rendere proficua questa situazione. Didattica che si vede da lontano: non mettiamo a fuoco chi la pratica, come, con chi, con quali mezzi.
Prima di ogni nuova avventura soppesiamo competenze e mezzi per affrontarla: questa volta non è andata così. Siamo partiti senza sapere niente e poi, magicamente, molti hanno iniziato a (far finta di) saper far tutto. Io sto imparando (stiamo imparando) con fatica e preoccupazioni: dopo una prima settimana di totale spaesamento ho iniziato a un po’ a capire, immaginando le vite di studenti e studentesse nel chiuso delle loro intimità. Quelle intimità che intravedo adesso come sfondo alle videolezioni, intimità che possono essere nidi o gabbie.
Il primo contatto con alunne/i e genitori è fatto di messaggi, e-mail, telefonate: con i rappresentanti di classe (anello fondamentale della catena), poi con i ragazzi più fragili. Qualche lato positivo lo intravedo. Avendo meno informazioni quotidiane da focalizzare e memorizzare, gli alunni hanno più tempo per svolgere i compiti assegnati. Servono pazienza e tempo.
Dopo aver imparato come fare lezioni online, guardandosi in faccia e magari fare due risate sui capelli scaruffati di ognuno; dopo aver capito che le attività andavano programmate per tempo, lasciando spazio alla creatività; avendo discusso insieme ai ragazzi circa il carico complessivo di lavoro e le paure di ciascuno: emerge sempre più il bisogno di svincolare le dinamiche didattiche dai rapporti di forza “in presenza”. Elemento chiave: la relazione. Se ragazzi, docenti e famiglie si relazionano, risolviamo problemi. Alunne e alunni vanno guidati negli scambi, come nell’organizzazione e nella scansione del lavoro, non più intrappolati dal suono della campanella. Con questi presupposti riesco a fare davvero didattica “ad personam”.
Speranza c’è quando vediamo come franano, e quindi non abbiano più ragione di esistere, regole che vigono in aula, dove la relazione verticale spesso arriva a soffocare la ragione di esistere di quell’aula: l’imparare insieme. Sembra ridicolo perpetuare le regole “in presenza” davanti alle webcam. Chi avrà il coraggio di seguire questa nuova forma di didattica, vivrà un’esperienza in cui vi è una condivisione orizzontale del sapere e una scelta consapevole nell’imparare, e non un’istruzione imposta dal vertice.
Ovviamente là dove la “gabbia domestica” impedisce l’apprendimento, i ragazzi si trasformano in individui soli e perduti. Perduti nel mare di parole scritte e dette “in lontananza” perché parlano poco o niente italiano; persi dietro muri invalicabili coloro che hanno disabilità legate alla socializzazione; perso chi ha genitori violenti e distanti; persi coloro che devono quotidianamente riconfermare autonomia e conoscenze per non vederle svanire nel vento. I “perduti” sono coloro che per primi dovrebbero rientrare a scuola, per uscire dalla gabbia e ricominciare a condividere.
Inesorabile, con la didattica a distanza, si è mostrato anche il nodo della valutazione. “Prof, ma perché fate verifiche se poi si passa tutti?”; “Il prossimo anno si faranno compiti sugli argomenti svolti online?”. Rispondo che non lo so, che sono incerta e spaesata come loro e non ho risposte, che dobbiamo tutti leggere, studiare, scervellarci per trovare soluzioni inedite. Poi parto con la mia filippica, nel cuore della quale c’è il motivo per cui a mio avviso la scuola esiste: si fa scuola per imparare e/a stare insieme, per correggerci, per graffiarci nel profondo scoprendo la nostra inadeguatezza, per tirare un sospiro e subito rimetterci a correre. Ora siamo tutti in mare aperto a cercare qualcosa che assomigli a ciò che conosciamo e, temendo di non trovarlo, iniziamo a pensare diversamente…
A me quest’anno viene una gran voglia di usare il timbro del Maestro Manzi per tutti/e: fa quel che può. Quel che non può non fa..
L’articolo di Teresa
Zuffanelli è stato pubblicato in “Amici di Passato e presente” Wordpress https://amicidipassatoepresente.wordpress.com/2020/05/08/7-presenze-e-assenze-a-scuola-ai-tempi-del-covid-19-teresa-zuffanelli/?fbclid=IwAR2554yCcQel9V-FsfWxbLETlCbb9NSPnJCqtjdmDxfwJZjwQ2Zz1c-
* 14. DAD: fare di necessità virtù, dal magister herectus al magister sapiens
In questo periodo si è spesso parlato
di salto di specie: bastava accendere la TV o collegarsi ad un forum che
già trovavi un virologo o un esperto (o un sedicente tale) che ti propinava la
teoria accreditata su come il virus COVID-19 sia transitato dal pipistrello al
pangolino (che prima di allora non avevamo mai sentito nominare) e da
quest'ultimo all'uomo. Qualcuno per darsi un tono te lo pronunciava anche in
inglese “spillover”.
Mentre eravamo presi da queste teorie
e ognuno di noi si addentrava nei meandri della biologia, delle sequenze del
DNA e della proteina spike, ci sfuggiva
un altro salto di specie o, come un
antropologo forse avrebbedetto, semplicemente un tassello della catena
evolutiva: dal magister herectus al magister sapiens.
La classe docente, da tempo divisa
in due fazioni – per la prima il computer è un orpello inutile che ottunde le menti, per la seconda il computer va utilizzato per
svolgere qualunque attività (anche elementare)- ora si è ritrovata corpo unico
e le due categorie di insegnanti sono confluite in una nuova specie docente.
Questa evoluzione, come tutte le
evoluzioni, è stata possibile perché si sono presentate le condizioni
favorevoli affinché si affermasse questo nuovo tipo di docente.
Noi insegnanti ci siamo trovati ad apprezzare i
nuovi strumenti, di contro rimpiangiamo la semplicità e la leggerezza della
“bassa tecnologia” con gesso e lavagna.
Ognuno di noi potrebbe soffermarsi a
riflettere su quanto tempo sarebbe stato necessario in tempi di normalità per acquisire le competenze sviluppate in
questo straordinario periodo, su quanti corsi di aggiornamento avrebbe dovuto seguire, magari distrattamente e controvoglia.
Tra i docenti c'era ancora chi aveva
mal digerito l'avvento del registro elettronico e periodicamente si faceva
promotore di un ritorno al cartaceo, invece eccolo qua il “lockdown” e quello
che non è avvenuto in vent'anni è avvenuto in un paio di mesi.
È ovvio che avremmo
fatto volentieri a meno di questa emergenza e acquisito placidamente competenze tecniche: ma così non è stato, non
ci è stato chiesto di scegliere.
In realtà questo brusco cambiamento
ha riguardato anche i nostri alunni e le nostre alunne: nel nostro immaginario
i ragazzi e le ragazze sono naturalmente
portati alla tecnologia, ma in
realtà sono regrediti negli ultimi anni nell'uso del computer perché
l'avvento dello smartphone ha fagocitato il loro tempo e spesso ahimè anche i
loro interessi.
Infatti, pur avendo alunni
“smanettoni” con lo smartphone, non è stato poi così raro avere ragazzi che non
sanno aprire la posta elettronica o che hanno seri problemi con l'account.
In particolare i miei ragazzi hanno
molto apprezzato le videolezioni asincrone, che a me richiedono un tempo infinito per la loro realizzazione ma
a loro danno la grande opportunità di rilettura degli argomenti svolti.
Ma diciamoci la verità: chi di noi preferirebbe questo tipo di lezione
allo stare in classe?
Qui viene a mancare l’autentica comunicazione non verbale, in entrambi i sensi
di trasmissione.
Chi come me coltiva il motto “ ludendo
docere” e fa dell'empatia uno strumento fondamentale della propria
azione didattica, non può che attendere con ansia il ritorno in classe.
Durante le lezioni in classe sono in
moto perpetuo e credevo che questo mio necessario girovagare potesse
infastidire qualche studente, invece con sorpresa, mi
sono congedato dalle mie classi con la
comune speranza che possa tornare di
nuovo in orbita attorno a loro.
*13. La Dad dal punto di vista del cuore di Patrizia Salerno-docente di lettere-Scuola
Media-Acicatena
La DAD dal punto di vista del cuore: malinconia, assenza, vuoto. Non potere attraverso sguardi, gesti, sorrisi, complicità, cogliere il malessere, la gioia, i sentimenti dei miei ragazzi perché uno schermo è un filtro freddo e privo di vita che mistifica e pone un'arida barriera.
La DAD dal punto di vista "istituzionale": un insieme rivoltante di falsità.
Un terreno pietroso non produce frutto, una didattica senza possibilità dialettica, che non è pura trasmissione di saperi ma implica scambio, è arida e non stimola crescita, impedisce al pensiero critico- analitico, di sbocciare, "rattrappisce" il concetto di cultura. Volere rivestire di legalità e credibilità tutto questo è inaccettabile per tutti coloro che non solo fanno scuola ma sono la scuola, sono fra i responsabili della futura Umanità.
Provo rabbia, ribellione, risentimento.
La scuola è luogo di persone che s'incontrano e crescono, non di macchine.Ho bisogno di far rivivere il cuore in quel meraviglioso mondo che lega docente e discente, che mi lega ai miei meravigliosi ragazzi e ragazze.
*12. Passione: il “filo di lana” che ci lega
di Silvia Desideri
insegnante di lettere I.I.S. “G.Ferraris-F.Brunelleschi” Empoli (FI)
L’eccezionale situazione, che abbiamo vissuto e stiamo vivendo, ha messo sotto i riflettori l’urgenza di attivare la modalità di didattica a distanza, unico modo per mantenere non solo la funzione del lavoro didattico, ma anche il legame cognitivo ed emotivo tra scuola, studenti e famiglie.
Nonostante ciò, la scuola a distanza non può e non potrà sostituirsi al lavoro in presenza, alla relazione educativa in aula, in cui discenti e docenti comunicano non solo con le parole, i libri, i video, gli strumenti tecnologici, ma soprattutto con gli sguardi, l’incontro fisico e l’empatia, indispensabili per la formazione della persona e del cittadino. Le tecnologie, o meglio le tecnologie di apprendimento, ci hanno offerto e ci offrono l’opportunità di continuare il rapporto didattico con i nostri studenti e di “stare in contatto” con loro, ma non ci permettono un rapporto di vicinanza fisica in classe, giorno dopo giorno. La fissità di uno schermo non fa trasparire emozioni, sgomento, paure, angosce e/o speranze.L’emergenza Covid-19 ci ha colti tutti impreparati, il cambiamento è stato repentino e ha messo in evidenza le differenze economiche e culturali. Il nostro Istituto ha aiutato, in tal senso, studenti e famiglie in difficoltà, ma non ha potuto, certo, supplire agli improvvisi blackout, al malfunzionamento della connessione, o alla mancanza di un ambiente adeguato per poter partecipare alle lezioni; qualcuno ha intorno fratelli, sorelle o cugini vocianti; qualcuno si trova nel ripostiglio con la lavatrice e gli indumenti da lavare etc. Noi insegnanti, per ovviare a tali eterogeneità di situazioni e condizioni, siamo stati flessibili e ci siamo messi a disposizione per assistere i ragazzi in qualsiasi momento della giornata.
Il lavoro che sta dietro alla didattica a distanza è stato ed è, notevole e incalcolabile, per rendere accessibile la lezione, che manca di empatia, di condivisione fisica e di gestualità, gli insegnanti hanno dovuto ripensare e reinventare una didattica diversa. Cercando di ovviare all’eterogeneità di situazioni e condizioni delle famiglie, che ha reso e rende ancor più difficile il nostro lavoro di insegnanti.In tal contesto, il sapere e la conoscenza devono essere rivalutati come “antidoti” che ci rendono più forti e più potenti. Pensiamo agli occhi puntati che tutti noi abbiamo in questo periodo sulla scienza, sugli scienziati e sui biologi, che si basano proprio su una ricerca continua. Pertanto, conoscere, sapere, imparare sono atti necessari irrinunciabili e non rinviabili. Come docente referente di vari progetti, quali, per esempio, il Laboratorio Teatrale e lo Scrilab con produzione di cortometraggi, mi è sembrato opportuno, continuare le attività pomeridiane, con tutte le difficoltà dovute alla distanza, alla condizione di separatezza e alla surreale situazione, per creare occasioni di reiterata socializzazione in un ambiente condiviso, seppur virtuale. Importante per “nutrire” lo spirito degli studenti, per allontanarli il meno possibile dalla quotidianità, per dare loro una speranza, la possibilità di essere utili alla società e cercare di trasformare un periodo di paure ed incertezze in un momento di crescita. In tutto ciò è stata fondamentale la partecipazione di alcuni studenti, già diplomati, attraverso il "filo di lana" che li lega all'Istituto. Ciascuno di loro ha messo a disposizione la propria fantasia, le proprie competenze collaborando per uno scopo comune, rafforzando pertanto il senso di comunità. Gli incontri avvenuti nella nostra “agorà virtuale” sono stati fondamentali per imparare, collaborare, infondere autostima, crescere personalmente e culturalmente, definendo la propria individualità all’interno del gruppo (anche se a distanza). Il compito della scuola, infatti, non è solo preparare ad una professione, ma anche insegnare ad esercitare autonomamente il proprio pensiero critico. Da Marzo in poi, quindi, per esempio l’attività del Laboratorio Teatrale ha proseguito online. Piccoli gruppi interscambiabili si sono alternati, quotidianamente. Mancando la dimensione fisica del teatro, dello spazio collettivo, della voce spiegata, dei gesti grandi, della forza, dell’intensità, della felicità, abbiamo scelto di adattarci al tempo: voci e volti raccolti da dispositivi individuali, piccole e grandi isole. “Arcipelaghi”. Anche per l’attività dello Scrilab gli obiettivi inizialmente prefissati sono stati rimodulati sulla situazione, sulla riflessione e documentazione dell’emergenza attuale.Forse, da questa esperienza usciremo cambiati. La pandemia ha messo in crisi la nostra routine, le nostre certezze, ma ha rafforzato il senso di appartenenza al proprio Istituto, alla propria Regione e al proprio Paese.
11.
*Leo e la Prof
(Im)probabile
conversazione al tempo dell’amico Virus
di Vera
Parisi, docente di Storia e Filosofia-Noto
Quando la mia amica Pina Arena mi ha
chiesto di dire la mia sulla DaD, ero in un momento di puro stress per le
tante, inutili richieste a cui il sistema burocratico, il mondo di carta, ora
assolutamente digitale, ci sottopone.
Avrei
potuto dire solo peste e corna della
Didattica a Distanza, una realtà fatta di numeri astratti che dimentica cos’è
la scuola, l’educazione, il rapporto autentico tra persone. Perché, diciamolo,
abbiamo accentuato in modo esponenziale le diseguaglianze e tante e tanti
studenti li abbiamo persi per strada.
Alla
fine, ho deciso di raccontare un incontro, una “(im)probabile” conversazione ai
tempi dell’amico Virus.
- Ciao
Leo, come stai?
- Bene
Prof! Perché?
- Non
ti ho visto negli ultimi video incontri… come mai?
- Non
so, Prof, che mi succede, ma non ho proprio voglia di studiare e non so come
fare…
- Ti
videochiamo? Vuoi che ne parliamo?
- Sì!
Mi farebbe piacere… se per lei non è un fastidio.
- Oh!
Finalmente ti vedo… è bello rivedere i tuoi occhi, dicono sempre tante cose.
- Anche
a me fa piacere Prof…
- Allora
Leo, che cosa non va?
- Prof,
sono sempre stato così, passo momenti in cui non mi interessa nulla…
- Sì,
ma questi momenti li attraversi, li superi… Ora cosa c’è di nuovo?
- In
realtà nulla esteriormente, tutto come sempre…
- Ma
è nuovo questo “Tutto come sempre”? Fammi capire: com’è sempre?
- Vivo
nella stessa casa con mia madre, il suo compagno e mia sorella, più grande di
me.
- E
papà?
- I
miei sono separati da tanti anni, non è una novità… non lo vedo da mesi e se
non lo chiamassi io, lui non si farebbe mai sentire.
- Che
cosa allora è diverso?
- Quanto
sento la sua mancanza… questo è diverso! Vivo sempre con le stesse persone, ma
ora mi sento più solo. Poi c’è mia sorella, che normalmente è all’università,
ora è a casa e non mi sopporta. Grida sempre, le do fastidio.
- Sei
sicuro di non poter fare nulla per modificare questo rapporto con tua sorella?
Non avete niente in comune? Sei proprio sicuro?
- Forse
anche lei è arrabbiata con mio padre, lei addirittura non ci parla da tanto
tempo… potremmo parlarne ed aiutarci. Insieme andrebbe meglio?
- Certo
Leo, provaci… guardala negli occhi e dille quello che senti, non ti chiudere,
insieme è più semplice, insieme diventiamo più resistenti a tutto questo.
- Si
Prof, ha ragione.
- Guardati
Leo, ora i tuoi occhi sorridono.
- Grazie
Prof! Sto meglio! Quando ci vediamo per parlare un po’ di Platone?
Come
dice Leo, prima vivere nella stessa casa non era un problema, ognuno aveva la
propria vita, stare fuori ci permetteva di “sopportare” quello che c’era dentro.
Ora lo spazio fisico delle nostre case diventa un luogo da cui non si può
evadere, è un confronto/scontro con se stessi, i propri limiti, le fragilità.
Pascal
diceva che “l’uomo è talmente superficiale che non sa stare da solo”. Grazie a
questo virus, perciò amico, possiamo trarre una grande lezione da questa
esperienza. La possibilità per noi, insegnanti e non solo, di abbandonare l’ego
superficiale, di accogliere e ascoltare, nell’attesa di incontrarci “a
distanza”. Quegli abbracci con gli occhi che ci attendono sono
una nuova promessa, un’urgente necessità.
10. *Dad: dall'emergenza un'esperienza virtuosa
di Rosa Perupato,
insegnante della scuola primaria-Vittoria (RG)
Dai primi di Marzo ci siamo trovati catapultati in una situazione irreale, nessuno immaginava lo scatenarsi di una pandemia che avrebbe sconvolta la vita di grandi e piccini. Tutte le attività sono state sospese e con esse anche la normale routine scolastica.Per noi insegnanti è iniziato un periodo molto strano, lavorare da casa con il computer, quasi ininterrottamente. La prima emergenza che ho sentito forte, è stata quella di rasserenare i miei alunni e le mie alunne, con registrazioni audio e video per far sentire loro la mia vicinanza. Poi ho cercato di ricreare un ambiente scolastico virtuale, mantenendo l’orario settimanale per le varie discipline.Ho utilizzato diversi strumenti, tra cui il registro elettronico, Telegram e screencast-o-matic per le video lezioni. La mia scuola si è attivata soltanto a maggio con google classroom che ho subito utilizzato, per incontri di socializzazione con gli alunni e le alunne e per qualche conversazione a tema.In questo periodo di quarantena forzata, si è rinforzato il rapporto non solo con gli alunni e le alunne, ma anche con le famiglie che hanno sentito la necessità di colloquiare con me, per telefono per sentirsi confortate e rasserenate.Un’attività importante che ho realizzato, da subito, è stata quella di sollecitare una scrittura collettiva su quello che stava succedendo(un compito autentico), quasi a sdrammatizzare la situazione che diveniva ogni giorno più grave e difficile. Il prodotto che ne è venuto fuori, corredato da disegni, è un testo bello, ricco di fantasia e di ottimismo, come solo i bambini e le bambine sanno far scaturire anche nelle situazioni più drammatiche.Posso affermare che questa situazione di DAD mi ha arricchita umanamente e professionalmente, valorizzando di più ciascun bambino e bambina a me affidato/a e imparando, come in una full immersion, ad utilizzare nuovi strumenti tecnologici e ad applicare nuove strategie al fine di rendere appetibile il sapere, anche in questa situazione. Sottolineo, però, che la DAD resta lavoro necessario e virtuoso in tempo di emergenza, da travasare nell'unica vera scuola possibile: quella reale.
9. *DAD: un’opportunità per una scuola umana?
di Pina Arena insegnante di Lettere, Liceo scientifico Catania
La DAD è un’ opportunità in questa emergenza, necessaria ora, crea contatti, espande il nostro lavoro, ma non sa e non
può sostituirlo, perché la professione
docente è fondata sulle emozioni, sulla
fisicità, sulle relazioni tra l’insegnante-
la persona che con professionalità e
umanità veicola e media saperi, li rimastica e comunica, anche
con il corpo- e studente, la persona che li accoglie e rimodula , rimastica
, fa propri.
E sono gli\le studenti
più fragili ad aver bisogno più fortemente della dimensione
fisico-relazionale nella pratica educativa e didattica. Sono le persone più
fragili a cedere di fronte alla fissità rigida di una macchina che non guarda
negli occhi, che non coglie
l’incrinatura dello sguardo, che non tradisce l’emozione della lettura
di un testo poetico.
Eppure la macchina è una potente aiutante, moltiplicatrice di azioni parallele: espande
il nostro lavoro su mondi virtuali, fa
navigare nei percorsi multiformi di saperi che s’incrociano ed assumono forme
diverse, si colorano di musica, immagini grafiche e cinematografiche. Consentono
l’incontro con altre voci lontane che arricchiscono e potenziano la fisicità e
l’umana relazione. Ma non la sostituiscono. Non possono sostituirla nel
prezioso lavoro ordinario.
Il dispositivo digitale
svolge con rigore anche il compito di
misuratore e controllore
oggettivo: vigila sui compiti prodotti da ogni studente, li conteggia, comunica
orari e regolarità di consegne. Ben venga il suo meccanico aiuto. Porta regola,
dà numeri e statistiche che aiutano a
decifrare la qualità dei processi. Ma non basta! Ben venga il meccanico
aiutante, ma non basta!
Come ogni rivoluzione, la rivoluzione necessaria della dad semina anche distruzione mentre costruisce. Chi ha sempre lavorato lavora anche di più,
partecipa alla scommessa, fa tesoro dell’emergenza.
Chi non è economicamente o culturalmente adeguato si
perde, abbandona. Chi è più fragile, non
ha sufficienti mezzi, pc, memorie digitali adeguate, dispositivi giusti, camera
propria e non condivisa con due
sorelline vocianti, chi non ha altri trenta libri in casa, ambiente
favorevole, non sta al passo, non può
partecipare alla pari, esserci. E si
perde anche chi pur disponendo di
piattaforme digitali, ha una storia di debolezza motivazionale.
Eppure deve essere
questa la scommessa: una scuola inclusiva, capace di valorizzare e sostenere
ogni persona, in modi differenti, diversificati. Non abbandonando i più vulnerabili, i più
fragili o solo i più timidi e timorosi, in un tempo in cui un’emergenza sanitaria mette sotto gli occhi di tutti
proprio che la vulnerabilità è propria
di ogni essere umano. umani. Proprio per questo è necessario “mantenersi in contatto con l'aspetto
umano” facendo scelte che non prescindano mai dall’umanità che è in
ciascuno\a di noi.
Ora ci attendono la conclusione di un anno di scuola
diverso e l’inizio di un nuovo anno di scuola in un tempo che è fuori dell’emergenza ma in cui
l’emergenza, così ci dicono, non sarà ancora risolta. Una possibile via da percorrere è quella mista,
in questo tempo di transizione: coniugare dad e didattica in presenza,
dividendo la settimana in due parti disuguali, ma solo per studenti delle
scuole superiori, è una via che permette di valorizzare le risorse migliori delle
due modalità didattiche, risparmio di strumenti e maggiore condivisione di
mezzi per le scuole, perfino risparmi di
carburanti per i trasporti. Ferma restando la centralità delle persone,
delle umane relazioni, della crescita umana. Ferma restando la consapevolezza
che la lezione d’aula in presenza resterà
insostituibile e che solo l’esperienza e l’alta professionalità docente
sono capaci di rimodulare , almeno in
parte, nell’emergenza, la comunicazione
e la condivisione fisica, necessari motori di empatia.
Che sia arrivato anche il momento di mettere fine al disastro antico, sempre
denunciato mai ascoltato, delle classi-pollaio? Ripartiamo da qui. E’ necessario.
8. *DAD e Sostegno: condividere e gestire conoscenze e buone
pratiche.
di Maria Tripoli, insegnante di sostegno, Istituto Tecnico-Catania
Sono una docente di sostegno che fa il suo lavoro con amore, umiltà ed onestà
intellettuale.
Dovete tenere presenti due cose
fondamentali, la prima e più importante è il "come" si svolge il nostro lavoro. Lo abbiamo ripetuto
sino alla noia, noi lavoriamo a pochi
cm. di distanza e il rapporto che si instaura con l’altro\a è anche tattile, emotivo, basato sui cinque sensi.
In questa emergenza uno degli
aspetti più importanti era mantenere vivo il rapporto con allievi,allieve e le
famiglie e quindi la socializzazione, ed è quello che abbiamo fatto da
subito.
Se noi docenti di sostegno abbiamo
riempito schede di monitoraggio, descrivendo ciò che abbiamo fatto e le
criticità per quello che non è stato fatto, perché non chiederlo ai curricolari
cosa didatticamente hanno eseguito nei confronti dei disabili, come hanno
partecipato con i docenti di sostegno? E soprattutto che materiale hanno
fornito loro?
Come hanno lasciato i compiti? In
accordo preventivo con docenti di sostegno o in modalità “uguale per
tutti\e”?
Le domande che dovrebbero
sorgere sono molte e semplici, limpide e chiare. Non sono semplicemente
polemiche, ma mettere in chiaro una uniformità, che dovrebbe fare parte delle
buone regole della pratica educativa didattica e in modo particolare, in questo
peculiare momento, in cui noi docenti di sostegno siamo rimasti soli,
nel chiuso delle nostre stanze, con profonda umiltà ed amarezza, a renderci
conto della nostra solitudine, lavorando sodo su tutte le materie, senza alcun
libro davanti, inventandoci tuttologi.
Era quello che abbiamo sempre fatto
a scuola, in presenza.
Ma lì, a scuola, avevamo libri,
consulenze dei nostri colleghi, a cui chiedevamo qualsiasi tipo di chiarimento,
senza alcun tipo di ritrosia.
L’acronimo DAD utilizzato è di per
sé non integrante.
La DAD aumenterà le disuguaglianze e
le differenze e creerà nativi digitali autistici, senza socializzazione ed
empatia.
La scuola non è solo
apprendistato, addestramento, ma è una palestra di vita, dove i disabili sono
necessari alla classe e viceversa.
Non sono da escludere, ma includerli
con la relazione, con la pratica dell’imitazione.
Se io sono un autistico posso solo
crescere con la relazione con le altre persone, nell'imitazione con compagni
e compagne e nel rapporto con ogni
docente.
Senza socializzazione non può
esserci apprendimento.
Si è invece posto l’accento sull'uso
dei mezzi tecnologici e prontamente con la dotazione di tablet, come se
l’essere handicappato soffre anche della mancanza di tablet e PC.
La “mia ragazza” ha ogni mezzo
a disposizione, persino una stampante, con cui prontamente la mamma stampa il
materiale da me fornito e subito fruibile.
Bisogna recuperare più in fretta
possibile la vicinanza, vicinanza di affetti, di sguardi complici, di vicinanza
di idee e pratica educativa. Create delle piattaforme per i curricolari ove
possono concordare con noi, materiale fruibili per loro, in collaborazione con
noi docenti di sostegno in condivisione.
Sono loro che devono essere formati,
non noi.
Noi sappiamo come arrivare a loro e
con quale metodologia.
Loro si devono accostare ad una
nuova didattica, devono parlare con nuove parole, con una nuova grazia, devono
soprattutto mantenere vivo il senso di comunità classe, devono mantenere vivo il
senso di appartenenza alla classe, devono mantenere vive le relazioni dei
rapporti.
Noi
diamo il "filo" e loro con leggiadria e responsabilità
dovranno tirarlo.
Di conseguenza significa prestare
attenzione alle specifiche esigenze e alle loro potenzialità. La nostra sfida è
quella che dovrebbe essere di ogni consiglio di classe, per sanare
"disallineamenti" che si sono verificati e reimpostare strategie
didattiche ed educative per recuperare la socializzazione e la didattica
inclusiva.
Creare nuove pratiche ed occasioni
di reiterata socializzazione in un ambiente condiviso, seppur virtuale.
In questo periodo non è importante
la quantità ma la qualità delle attività proposte, l’importanza delle relazioni
attivate, delle occasioni, delle valutazioni verificate, su solidi basi
metodologiche. Integrare le tre tematiche, handicap,
tecnologie e scuola.
Inoltre realizzare un sistema
di condivisione e gestione delle conoscenze e delle buone pratiche, con un
sistema cooperativo tra scuole, per offrire supporto anche tecnologico e
soprattutto creare un apposito gruppo di esperti indicati dal MIUR.
Mentre scrivo arriva sul Corriere della sera anche la risposta della Ministra alla mia precedente lettera e le sue parole mi fanno sperare.
Riflettiamo insieme, parliamone ancora.
di Linda Adamo, insegnante di diritto-Liceo Scientifico-Catania
Alle mie alunne e ai miei alunni
Come primi attori e attrici inconsapevoli di una pagina di vita inusuale, quasi una commedia estemporanea senza sceneggiatura e senza prove, siete protagonisti di una realtà anomala, così lontana da ciò a cui siamo abituati da apparire quasi incomprensibile.
Eppure, in questo vortice di morti numerate, di storie urlate o sussurrate, di dolori e di rinascite, avete suscitato in me nuove emozioni, quelle silenti, quelle che anche un' insegnante esperiente può scoprire di provare, di voler nutrire e gestire.
Eppure, in questo vortice di morti numerate, di storie urlate o sussurrate, di dolori e di rinascite, avete suscitato in me nuove emozioni, quelle silenti, quelle che anche un' insegnante esperiente può scoprire di provare, di voler nutrire e gestire.
E così, dietro quegli schermi dei vostri dispositivi che segnano i confini e le distanze, invece ravviso nuove emozioni. E nella drammaticità del momento, dal groviglio dei miei sentimenti opposti, il mio sgomento di adulta si trasforma per voi in speranza; la mia paura solitaria si è vestita da gioia comune; il mio domani incerto diventa per voi conferma sicura. E sono così anch’io protagonista di una difficile pagina di vita, chiamata ad affiancare i vostri stati emotivi per viverli alla pari.
E poi nel concreto, la sveglia del mattino diventa complicità, la vostra quotidianità mi apre le porte e la vita appare in comune. Le pareti delle camere delineano il vostro isolamento, uno spazio che adesso diventa di tutti. Il contatto esclusivo con ciascuno e ciascuna di voi, forse prima effimero e marginale, durante una lezione scandita dal suono di una campana, ora diventa discreto e personale e così perdo memoria del mio ruolo precedente. Non trovo invadente il vostro messaggio anche in orario inusuale e non segno ore in agenda, perché insieme abbiamo perso la cognizione del tempo. E dove le condizioni personali vi hanno diviso dagli altri, io ho provato a colmare le differenze e a mantenere un discreto silenzio. E così attendo con piacere di rivedervi e di risentirvi per ospitarvi nella mia casa, continuando ad indossare gli abiti da uscita e i monili visibili, con la stessa cura di prima, per onorarvi e compiacervi, sia pur nel mio immaginario.
E mi appare la ratio di tutto ciò: poiché il momento che ci accomuna è un cammino di vita che non conosce precedenti, né età, né luoghi reali o virtuali, ma solo speranza per un futuro certo, non resta che condividere il nostro tempo dilatato e viverlo insieme, pur nella consapevolezza dei ruoli diversi.
Ma un merito inconsapevole che vi è dovuto sarà quello di avermi fatto scoprire un nuovo spazio di riflessione, di aver trovato il tempo di curare i dettagli della nostra amicizia e di aver suscitato in me nuove emozioni, quelle che ad una certa età non riconosci o non ti entusiasmano più, quelle che qui, invece, hanno superato anche le distanze.
Grazie, la vostra prof
6. *Dad e l’opportunità di una sperimentazione che
apre ad un mondo nuovo
di Caterina Chiofalo,
insegnante di Letteratura Italiana –Liceo scientifico- Catania
A distanza di un mese possiamo fare una prima verifica del
lavoro svolto. Com'è andata? Personalmente mi sento soddisfatta del mio lavoro
e di quello delle ragazze e dei ragazzi.
Dopo la faticaccia iniziale, ma che perdura, (dal chiuso del mio studio ho dovuto imparare
da sola l'utilizzo delle nuove piattaforme e le conseguenti nuove caratteristiche della D A D, metodologie,
strategie di insegnamento, valutazione, tecniche di coinvolgimento e
motivazioni delle alunne e degli alunni) il mio impegno è stato premiato.
Le discenti e i discenti hanno risposto positivamente. La
tecnologia , tanto amata dalla gioventù, li ha coinvolti piacevolmente e anche
i più pigri e le più pigre non avevano più scuse: si trattava del loro mondo,
del loro sistema preferito di comunicazione.
Per noi insegnanti , per un verso, i dispositivi
digitali offrono l’opportunità di strumenti che aperti alle aspirazioni conoscitive dei ragazzi e delle
ragazze. Occasione per meditare sulla
rimodulazione degli antichi "saperi
essenziali".
Che cos'è davvero importante? E’ tempo di fermarci e porci questa domanda. Bisogna scoprire che
cosa può interessare un giovane del terzo millennio e, per di più, in una
situazione di emergenza. Ecco, dunque, come un
semplice cambiamento della tecnica di insegnamento può venire in aiuto
e far meditare , sperimentando, sul rapporto fra la conoscenza e le nuove
generazioni, tra gli insegnanti e le insegnanti ,da una parte ,e i discenti le
discenti, dall'altra, almeno con i più grandi.
Insegno in un liceo e posso dire che i più
mi hanno seguita e con entusiasmo. Qualcuno ha faticato, spesso per le problematiche che la scuola da sola non può
certo risolvere.
Qualche difficoltà in più ho riscontrato, infatti, con i/le
più giovani, i ragazzi e le ragazze del primo anno , che ancora da poco tempo
si erano adattati/e alla realtà della scuola superiore e sono rimaste/i
spiazzati da questo cambiamento repentino. Ma credo che una didattica mista,
come quella che si prevede per il prossimo anno scolastico, potrebbe essere
efficace anche per loro , che , supportati da alcune lezioni in presenza,
neessarie per un approccio più diretto e guidato all'apprendimento , sicuramente
si abituerebbero alle infinite possibilità della didattica telematica.
di Santina Giuffrida,
insegnante di Lettere –Liceo scientifico- San Giovanni La Punta-Catania
All’improvviso, da un giorno all’altro la vita è cambiata,
le scuole sono state chiuse, tutto si è fermato, ma in realtà nulla si è
fermato.
La scuola si è dovuta reinventare…ma è sempre stata un punto
di riferimento fondamentale per ogni studente.
Docenti e alunni non hanno mai interrotto la comunicazione,
prima attraverso i social con gruppi classe già esistenti o subito costituiti e
successivamente mediante la nascita di classi virtuali su piattaforme con audio
e videolezioni, verifiche scritte e interrogazioni. Un vero terremoto…
Docenti di ogni ordine e grado si sono autoaggiornati ed adattati
a tecniche nuove di comunicazione a cui la scuola non era abituata e talvolta…
senza indicazioni chiare.
Gli alunni poi, molte volte
privi degli strumenti informatici indispensabili allo scopo, computer e
tablet, hanno improvvisamente visto nel cellulare, fino a quel momento mezzo di
comunicazione amicale e di gioco, un supporto prezioso per l’attività
didattica.
La scuola è
flessibile, si reinventa e sperimenta ma quanta fatica! Quanto lavoro, senza
tempo, senza confine.
Molti alunni stanno comprendendo solo oggi la bellezza di
frequentare ogni giorno, di incontrare i compagni in presenza, di dialogare con
gli insegnanti e tanti docenti stanno utilizzando pratiche didattiche che mai
avrebbero pensato di adottare.
Forse da questa
esperienza terribile usciremo tutti cambiati, in meglio…
La pandemia ha messo in crisi le certezze del mondo
contemporaneo, ha rafforzato negli Italiani
e nelle Italiane il senso di appartenenza al proprio grande Paese , ha
dato valore a quanto davamo per scontato e ci ha fatto riscoprire l’importanza
dei rapporti umani e la bellezza della libertà.
4. *DAD, una normalità da
emergenza
di Carmen Cusimano, insegnante di Lingua inglese –Liceo scientifico- Catania
L'ultimo acronimo familiare a tutti gli Italiani è DAD, croce e delizia di studenti e docenti.
Venuto fuori a seguito di una grave emergenza nazionale, è la risposta fattiva,
prepotente e forte di una categoria di professionisti che, ancora una volta ,
dimostrano la loro capacità di modulare le abilità e piegarle alle esigenze
cogenti. Se in un primo momento la drammaticità della situazione nazionale
aveva preso il sopravvento, lasciando tutti sgomenti, è bastato poco per
comprendere che bisognava darsi da fare. Ancor prima che le scuole di
appartenenza si organizzassero con piattaforme dedicate, più o meno sicure in
termini di privacy, già docenti e alunni
si erano organizzati per continuare il percorso formativo interrotto troppo
presto. Nella mia esperienza con 6 classi, ho registrato una risposta positiva
da parte della maggior parte dei miei alunni, molti di loro hanno avvertito e
avvertono la necessità di questo appuntamento quotidiano per mantenere quella
socialità negata, quella parvenza di normalità. Alcuni trovano questa metodica
più efficace dal punto di vista didattico, altri faticano a star dietro uno
schermo dal quale spesso si rendono invisibili nel caso della video lezione (la
videocamera non funziona, la connessione è intermittente , il microfono si è
rotto, ho finito i giga), altri ancora rispondono all'appello poi scompaiono,
taluni fanno colazione a tutte le ore, perfino “ mi scusi devo andare a
mangiare, mamma mi chiama” alle 12.40.
Ma quel che manca è il gruppo classe, la normalità. In
realtà ho registrato una maggiore
costanza nella produzione scritta , benché la tentazione del copia incolla che fa produrre loro testi accademici è
forte! Ma almeno si impegnano, forse è anche la giusta occasione per comprendere
che internet non è solo usare i social, ma anche navigare per conoscere,
documentarsi, comparare, apprendere.
Se per gli studenti la DAD è diventata la normalità, il
lavoro che sta dietro è notevole, per rendere accessibile la lezione che manca
di gestualità, di sguardi , di condivisione fisica, di empatia, i/le docenti hanno reinterpretato e ripensato
il modo di svolgere la lezione preparando mappe, percorsi guidati , proponendo
link dalla rete, sperimentando nuove
strategie didattiche. Ma questo è il nostro lavoro, rimodulato davanti ad un
freddo dispositivo elettronico surrogato del gruppo classe!
di Maria Pia Dell'Erba, docente di materie letterarie -Liceo Scientifico-Catania
Lo smart working dell’insegnante ha già una sua sigla: DaD, Didattica a Distanza. Un altro acronimo che si va ad aggiungere al vocabolario di termini occulti che fanno parte della burocrazia kafkiana della quotidianità della scuola.
Nomi arcani che solo gli iniziati possono decifrare e utilizzare con scioltezza e che compongono una neolingua che si arricchisce ogni anno di neologismi dal suono cacofonico. Ci siamo abituati al POF che è diventato PTOF, all’ASL che è diventata PCTO, parliamo con disinvoltura di PON, da non confondere con POR, di RAV, di AD e di tanto altro.
Uno dei pochi aspetti positivi della Buona Scuola renziana, l’unico a mio avviso, è stato lo sforzo, fin qui per lo più vano, di promuovere l’aggiornamento in massa della classe docente sullo sviluppo delle competenze digitali.
L’emergenza ha colto impreparati i più: e non parlo solo dei docenti. Perché i nativi digitali si sono scoperti impacciati e inadeguati, pure loro incapaci di muoversi con sicurezza tra piattaforme e videolezioni.
Ma se l’inadeguatezza delle competenze digitali tutto sommato è semplice da sanare, basta volerlo, perché è sufficiente seguire i canali di generosi youtuber che in pochi minuti colmano baratri di ignoranza tecnologica con pillole di saggezza digitale, invece la DaD ha messo in luce inadeguatezze ben più importanti, che affondano nell’organizzazione profondamente antidemocratica della nostra società.
Le scuole e gli alunni più disagiati ne pagano le conseguenze: il divario economico e sociale di scuole e famiglie non è più un dato da statistica, adesso si mostra in tutta la sua drammaticità soprattutto nelle scuole elementari di quartiere, nei bambini che stanno imparando a leggere e scrivere e che di questo momento storico riporteranno cicatrici culturali profonde che solo la loro volontà di rivalsa potrà sanare. Non è colpa loro, non è colpa della loro istituzione scolastica di appartenenza, non è colpa dei loro insegnanti. E’ colpa di tutti noi che abbiamo contribuito a costruire questa società così come è: antidemocratica, elitaria, egoista.
Ma se possiamo trovare un insegnamento veramente utile in questa situazione di emergenza è constatare che l’inadeguatezza nella gestione dei nostri rapporti a distanza è incolmabile. Non ci sono video tutorial esaustivi, non c’è digitale che ci educhi, non ci sono piattaforme che possano sostituire il piacere di incontrarsi, parlarsi, toccarsi. Ed è cosa buona e giusta. Perché lo sapevamo, ma l’abbiamo verificato in questi giorni, che siamo necessari gli uni agli altri, che tra insegnanti e alunni è importante interagire in presenza, non solo per trasmetterci conoscenze e competenze: magari per litigare in santa pace, per amarci e odiarci a giorni alterni, per vivere insieme.
Nelle azioni partorite dal disagio dell’emergenza di questi giorni, il Miur ha dimostrato saggezza eliminando Invalsi e PCTO. Odiosi turpiloqui di un vocabolario da burocrati da tavolino che rimandano a progettualità inefficaci e antidemocratiche, che riducono le une, le prove Invalsi, a selezionare eccellenze da statistica, gli altri, i PCTO, ad asservire la Scuola alle divinità del Profitto e dell’Economia.
Adesso è il momento di fare un altro passo avanti per i nostri e le nostre ragazze: vengano eliminati i test di accesso all’università, strumenti satanici di selezione antidemocratica, lesivi di sacrosante libertà personali. I giovani in questo momento sono privati dei loro affetti, delle loro passioni, della loro quotidianità; in cambio avranno un mondo da ricostruire, un’economia da ricomporre, dei rapporti sociali da reinventare. Piuttosto vengano stimolate e favorite le loro progettualità; o meglio, i loro sogni e i loro desideri. Per il resto non rimane che da rimboccarci le maniche e metterci a lavoro. Andiamo avanti ragazzi e ragazze!
Nomi arcani che solo gli iniziati possono decifrare e utilizzare con scioltezza e che compongono una neolingua che si arricchisce ogni anno di neologismi dal suono cacofonico. Ci siamo abituati al POF che è diventato PTOF, all’ASL che è diventata PCTO, parliamo con disinvoltura di PON, da non confondere con POR, di RAV, di AD e di tanto altro.
L’emergenza ha colto impreparati i più: e non parlo solo dei docenti. Perché i nativi digitali si sono scoperti impacciati e inadeguati, pure loro incapaci di muoversi con sicurezza tra piattaforme e videolezioni.
Ma se l’inadeguatezza delle competenze digitali tutto sommato è semplice da sanare, basta volerlo, perché è sufficiente seguire i canali di generosi youtuber che in pochi minuti colmano baratri di ignoranza tecnologica con pillole di saggezza digitale, invece la DaD ha messo in luce inadeguatezze ben più importanti, che affondano nell’organizzazione profondamente antidemocratica della nostra società.
Le scuole e gli alunni più disagiati ne pagano le conseguenze: il divario economico e sociale di scuole e famiglie non è più un dato da statistica, adesso si mostra in tutta la sua drammaticità soprattutto nelle scuole elementari di quartiere, nei bambini che stanno imparando a leggere e scrivere e che di questo momento storico riporteranno cicatrici culturali profonde che solo la loro volontà di rivalsa potrà sanare. Non è colpa loro, non è colpa della loro istituzione scolastica di appartenenza, non è colpa dei loro insegnanti. E’ colpa di tutti noi che abbiamo contribuito a costruire questa società così come è: antidemocratica, elitaria, egoista.
2.*La Dad alla scuola primaria
di Paola Cinquerrui,
insegnante della scuola primaria-Catania
Assioma della
pedagogia è che non c’è apprendimento se non c‘è la relazione tra insegnanti e
discenti e, in questo momento di emergenza sanitaria, anche il Ministero
dell’Istruzione ha sollecitato il corpo docente a mutuare l’ambiente di
apprendimento-classe nella classe virtuale della
didattica a distanza (DaD), mantenendo soprattutto con le bambine e i bambini
più piccoli una relazione che vada al di là della semplice assegnazione di
compiti. Nel contempo però il MIUR raccomanda che si attuino metodi che
consentano alle alunne e agli alunni di operare in autonomia, non solo
“riducendo al massimo gli oneri a carico delle famiglie (impegnate spesso, a
loro volta, nel lavoro agile)”, ma anche evitando loro rischi alla salute
derivanti da un’eccessiva permanenza davanti agli schermi. Questo fa sì che
nella scuola Primaria la DaD sia una sfida ancora più grande di quella
realizzabile nella scuola secondaria.
Le nostre
piccole bambine e i nostri piccoli bambini, benché nativi digitali, hanno
necessità del supporto dei genitori per fruire dei contenuti o per entrare in
videoconferenza con le/gli insegnanti. In tale contesto, la mia esperienza mi
fa rilevare che da una parte ci sono genitori che chiedono a viva voce di
mantenere contatti costanti tra la scuola e le alunne e gli alunni, auspicando
videoconferenze ed incontri on line calendarizzati e periodici.
Dall’altra
parte non pochi genitori che, alla sola idea di avere tale assiduità, si
rifiutano di entrare nel meccanismo di una quotidianità di scuola-virtuale per
i più svariati motivi (mancanza di tempo, penuria di strumenti tecnologici,
altri/e figli/e da seguire, scarsità di connessione, questioni di coscienza e
di credo educativo, ecc.). Senza parlare poi dei genitori che stanno vivendo in
prima linea l’emergenza o perché facenti parte del personale sanitario o perché
attaccati dal coronavirus che li devasta prima di tutto psicologicamente. Nel
mezzo di questi estremi ci sono miriadi di casi familiari ancora più
sfaccettati.Tale
eterogeneità di situazioni e condizioni delle famiglie non può che rendere
difficile il nostro lavoro di docente che, se in classe riesce a
"livellare" le diseguaglianze, ascoltando, osservando, considerando
nella loro individualità bambine e bambini, rintracciando in ciascuno di loro
possibilità e limiti, al fine di disegnare per ognuno uno specifico percorso di
apprendimento, al contrario in queste condizioni di emergenza l’insegnante deve
attuare una Dad che non sottolinei tali differenze. E comunque deve fare una
scelta che possa incontrare le esigenze di tutti/e o quanto meno della
maggioranza delle alunne e degli alunni, operando caso per caso nei confronti
di coloro che hanno situazioni al limite.
Se ci
ragioniamo su, ci rendiamo conto che questo è il classico contemperamento di
interessi che nel nostro caso richiama i fondamentali diritti
costituzionalmente garantiti: diritto allo studio di alunne/i (oltre che
diritto alla salute), libertà di scelta educativa delle famiglie e libertà di
insegnamento del corpo docente.
E non a caso
li riporto proprio in quest’ordine che secondo me è quello che permette di
avere un quadro chiaro sia alle/agli insegnanti che alle madri e ai padri.
Ognuno di noi, qualunque sia la categoria a cui appartiene, deve prima di tutto
tutelare il bene più grande che è l’istruzione della propria figlia/alunna o
del proprio figlio/alunno, privilegiando comunque l’umanità, il legame
affettivo e autentico, il dialogo, in qualunque maniera sia possibile.
Poi, a fronte
di qualunque metodologia/contatto, viene prima la libertà di scelta educativa
delle famiglie che, dovendo garantire sempre e prima di tutto il diritto allo
studio, hanno la possibilità di stabilire cosa sia meglio per la crescita
morale e spirituale della propria prole.
Infine
il diritto alla libertà di insegnamento propria delle/dei docenti che,
nell’obbligatorietà della DaD, applicano la metodologia e la didattica che
ritengono più opportune per far raggiungere alle proprie alunne e ai propri
alunni quegli obiettivi che essenziali per l’acquisizione delle competenze,
anche umane e relazionali.
di Marilena Adamo- insegnante di Lingua inglese –Liceo scientifico- Catania
Dal 7 marzo 2020 la teledidattica ha fatto irruzione nella
vita di ogni docente e ci ha indotto in pochissime ore a domandarci
cosa e come fare per le nostre ed i nostri studenti, rimetterci in gioco, sperimentare e
veicolare i tradizionali contenuti didattici in una nuova veste. Sino a quel momento
la teledidattica era per me perlopiù uno strumento di autoformazione,
attraverso i cosiddetti webinar, e verifica al termine di ogni unità di un master, corso di perfezionamento o corso
universitario online.
La mia esperienza di docente "teledidatta" alle
prese con sei classi e due bimbi piccoli è complessa ed ha vantaggi ma anche
svantaggi.
Il primo scoglio da superare è stato quello di rivedere i
nostri programmi non più alla luce del raggiungimento degli obiettivi minimi
per la conoscenza dei contenuti, ma la traduzione degli apprendimenti in competenze. Ho ripensato a tutte le
unità e subito mi sono chiesta: "Come possono fare i miei alunni per farmi
capire che hanno appreso, senza
scopiazzare dalle enciclopedie online?"
Da lì l'idea di spingere
il pedale dell'accelerazione sulla realizzazione delle mappe concettuali, l'uso
di giochi ed applicazioni educative, presentazioni multimediali, realizzazione
di poster e infografiche per le tematiche-chiave, creazione di un fumetto con
cui capire se i miei studenti sapessero applicare una regola di grammatica in
nuovo contesto.
Questo aspetto ha
dato subito soddisfazioni: ragazze e ragazzi hanno realizzato dei lavori creativi che mi hanno stupito, divertito e
mi hanno fatto conoscere aspetti del loro carattere per me nuovi.
In questo mese ho ripensato alla mia griglia di valutazione
e adesso la voce partecipazione e rielaborazione critica hanno un peso maggiore
rispetto al passato.
Non tutti i miei studenti hanno potuto però partecipare: mi
ha lasciato sorpresa constatare quanti di loro
hanno solo la tastiera del telefonino come terminale di videoscrittura
(eppure molti di loro hanno festeggiato recentemente 18 anni in modo faraonico,
persino con viaggio premio all'estero!) oppure non riescano a connettersi,
perché vivono in zone ancora poco coperte o abbiano un piano tariffario mensile
limitato. Alcuni di loro mi hanno scritto per segnalare i loro problemi, altri
invece sono rimasti confinati a casa e spesso lo hanno riferito solo ai
compagni.
Questo mi ha fatto capire quanto sia importante nella
teledidattica il dialogo ed il clima di fiducia docente-alunni e il ruolo
svolto dai rappresentanti di classe, che spesso ti aiutano a capire le paure, i
malumori, le fragilità dei compagni, che magari non hanno difficoltà
economiche, ma si sono chiusi in cameretta in una sorta di trance davanti a
Netflix, un'intera giornata con il pigiama, perché non possono più praticare
sport e allora non ha più senso uscire dalla propria stanza.
Ho avuto modo di capire che sono cambiate le problematiche
di alcuni alunni (si accentua la solitudine, la dipendenza da dispositivi
informatici, l'astenia, l'apatia, ma anche la rabbia e la frustrazione per non
poter uscire con gli amici, fare una passeggiata o la paura di fronte alle
notizie del contagio) e più volte ho preso carta e penna (cosa che prima non
avrei mai fatto) e ho scritto per chiedere cosa non andava. Quindi ho
modificato le modalità di interazione con la classe (più email, ma no
Whatsapp!).
La mole di lavoro è sicuramente aumentata, ma anche le
nostre energie sono messe a dura prova: dopo due ore di progettazione
(navigazione su Internet, lettura e confronto fra più fonti, scelta,
manipolazione testuale, ecc.) la vista si appanna, sopraggiunge una sensazione di
nausea (mai avvertita prima), inizia l'emicrania: quindi a mio avviso, una
ripercussione sulla nostra salute psico-fisica c'è.
Per questa ragione si avverte poi il bisogno di staccare e
riprendere dopo un po’, magari a visualizzare i lavori svolti o
correggerli. Di fatto, non c’è più uno stacco fra ambiente scuola e ambiente
casa; anzi la nostra (con i nostri corredi) è come se fosse messa a
disposizione dei nostri studenti, che dalla webcam sbirciano il quadro con il
voto di laurea della professoressa, piuttosto che l'orologio-angoliera, che non
segna più l'ora!
Questi sono aspetti che fanno sorridere ma mettono sì in luce alcune criticità legate
alla privacy nostra e dei nostri alunni.
Purtroppo non posso e poi non lo ritengo neanche giusto (per
il consumo di batteria, Giga, ecc.) proporre le mie 18 ore canoniche di
videolezione sincrona e per fortuna questo non è stato preteso!
Non solo: sono madre
di due bambini di 6 e 4 anni e mi sono all’improvviso a far loro da insegnante in un turbine di
attività da scaricare, vigilare durante lo svolgimento e scansionare a più
riprese durante il giorno e contemporaneamente a svolgere l'attività didattica
per le mie classi e questo mi dà la sensazione a tratti di scoppiare, non
sapere come districarmi.
Sto facendo bene a riprendere mia figlia se scrive i
caratteri dal basso verso l'alto o no?
Ecco, lamento la
mancanza di un supporto materiale (la presenza di una babysitter) o psicologico
( che mi aiuti a concentrarmi sulle cose
più importanti, focalizzare l'attenzione sul qui ed ora e dominare le
sensazioni negative).
Poi però penso che la flessibilità mi permette di spostare
una data di scadenza e questo mi fa sentire più tranquilla.
Tuttavia vorrei che i nostri diritti venissero anche
ridefiniti di fronte all’impegno sconfinato
della teledidattica: diritto alla disconnessione il pomeriggio, giorno
libero e festivi rispettati;
condivisione virtuale definita nei tempi, in cui non può rientrare
l’invio di compiti e di richieste di assistenza didattica , di chiarimento
didattico, nelle orali serali o notturne.
Dopo una prima reazione di euuforia tecnologica per esserci visti in video,i miei alunni hanno ripreso a fatica la nuova didattica a distanza.Gli alunni migliori si sono comportati ancora meglio mentre i peggiori sono peggiorati aldi ladei problemi tecnici. Comunque la Dad non funziona perché il mezzo non consente di comunicare realmente.In definitiva la Dad è solo un surrogato della scuola.Sono mancati affetti,sentimenti gioie e mi è rimasto un forte mal di testa.
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