La DAD, didattica a distanza , raccontata da dentro: insegnanti a confronto


Abbiamo raccolto racconti    dell’esperienza della didattica a distanza al tempo della chiusura delle scuole, dal 4 marzo.
Riflessioni che partono da una contingenza e si espandono alla scuola che vorremmo.

*15. DAD Presenze e assenze a scuola ai tempi del Covid-19
di Teresa Zuffanelli- Docente di lettere, Liceo scientifico Empoli-Firenze   
Presente! A ogni appello che si rispetti si risponde presente, se possibile con un po’ di entusiasmo. Nel primo biennio dell’istituto tecnico di Empoli, dove insegno, non faccio quasi mai appelli: entro e guardo chi è presente, mentre studentesse e studenti, come ogni giorno, adagiano brutalmente in terra zaini, finiscono di bere il caffè delle macchinette e si scambiano parole assonnate: “No prof, oggi Caio è assente”, “Strano prof, oggi siam tutti presenti!”.
La Dad è didattica senza “presenti”. Assente di certo mi sento io, quando penso a come rendere proficua questa situazione. Didattica che si vede da lontano: non mettiamo a fuoco chi la pratica, come, con chi, con quali mezzi.
Prima di ogni nuova avventura soppesiamo competenze e mezzi per affrontarla: questa volta non è andata così. Siamo partiti senza sapere niente e poi, magicamente, molti hanno iniziato a (far finta di) saper far tutto. Io sto imparando (stiamo imparando) con fatica e preoccupazioni: dopo una prima settimana di totale spaesamento ho iniziato a un po’ a capire, immaginando le vite di studenti e studentesse nel chiuso delle loro intimità. Quelle intimità che intravedo adesso come sfondo alle videolezioni, intimità che possono essere nidi o gabbie.
Il primo contatto con alunne/i e genitori è fatto di messaggi, e-mail, telefonate: con i rappresentanti di classe (anello fondamentale della catena), poi con i ragazzi più fragili. Qualche lato positivo lo intravedo. Avendo meno informazioni quotidiane da focalizzare e memorizzare, gli alunni hanno più tempo per svolgere i compiti assegnati. Servono pazienza e tempo.
Dopo aver imparato come fare lezioni online, guardandosi in faccia e magari fare due risate sui capelli scaruffati di ognuno; dopo aver capito che le attività andavano programmate per tempo, lasciando spazio alla creatività; avendo discusso insieme ai ragazzi circa il carico complessivo di lavoro e le paure di ciascuno: emerge sempre più il bisogno di svincolare le dinamiche didattiche dai rapporti di forza “in presenza”. Elemento chiave: la relazione. Se ragazzi, docenti e famiglie si relazionano, risolviamo problemi. Alunne e alunni vanno guidati negli scambi, come nell’organizzazione e nella scansione del lavoro, non più intrappolati dal suono della campanella. Con questi presupposti riesco a fare davvero didattica “ad personam”.
Speranza c’è quando vediamo come franano, e quindi non abbiano più ragione di esistere, regole che vigono in aula, dove la relazione verticale spesso arriva a soffocare la ragione di esistere di quell’aula: l’imparare insieme. Sembra ridicolo perpetuare le regole “in presenza” davanti alle webcam. Chi avrà il coraggio di seguire questa nuova forma di didattica, vivrà un’esperienza in cui vi è una condivisione orizzontale del sapere e una scelta consapevole nell’imparare, e non un’istruzione imposta dal vertice.
Ovviamente là dove la “gabbia domestica” impedisce l’apprendimento, i ragazzi si trasformano in individui soli e perduti. Perduti nel mare di parole scritte e dette “in lontananza” perché parlano poco o niente italiano; persi dietro muri invalicabili coloro che hanno disabilità legate alla socializzazione; perso chi ha genitori violenti e distanti; persi coloro che devono quotidianamente riconfermare autonomia e conoscenze per non vederle svanire nel vento. I “perduti” sono coloro che per primi dovrebbero rientrare a scuola, per uscire dalla gabbia e ricominciare a condividere.
Inesorabile, con la didattica a distanza, si è mostrato anche il nodo della valutazione. “Prof, ma perché fate verifiche se poi si passa tutti?”; “Il prossimo anno si faranno compiti sugli argomenti svolti online?”. Rispondo che non lo so, che sono incerta e spaesata come loro e non ho risposte, che dobbiamo tutti leggere, studiare, scervellarci per trovare soluzioni inedite. Poi parto con la mia filippica, nel cuore della quale c’è il motivo per cui a mio avviso la scuola esiste: si fa scuola per imparare e/a stare insieme, per correggerci, per graffiarci nel profondo scoprendo la nostra inadeguatezza, per tirare un sospiro e subito rimetterci a correre. Ora siamo tutti in mare aperto a cercare qualcosa che assomigli a ciò che conosciamo e, temendo di non trovarlo, iniziamo a pensare diversamente…
A me quest’anno viene una gran voglia di usare il timbro del Maestro Manzi per tutti/e: fa quel che può. Quel che non può non fa..

* 14. DAD: fare di necessità virtù, dal magister herectus al magister sapiens
di Luca Amore insegnante di Matematica e Fisica. Liceo scientifico Catania

In questo periodo si è spesso parlato di salto di specie: bastava accendere la TV o collegarsi ad un forum che già trovavi un virologo o un esperto (o un sedicente tale) che ti propinava la teoria accreditata su come il virus COVID-19 sia transitato dal pipistrello al pangolino (che prima di allora non avevamo mai sentito nominare) e da quest'ultimo all'uomo. Qualcuno per darsi un tono te lo pronunciava anche in inglese “spillover”.
Mentre eravamo presi da queste teorie e ognuno di noi si addentrava nei meandri della biologia, delle sequenze del DNA e della proteina spike, ci sfuggiva  un altro salto di specie o,  come  un antropologo forse avrebbedetto,  semplicemente un tassello della catena evolutiva: dal magister herectus al magister sapiens.
La classe docente, da tempo   divisa in due fazioni – per la prima    il computer è un orpello inutile che ottunde le menti,   per  la seconda il computer va utilizzato per svolgere qualunque attività (anche elementare)- ora si è ritrovata corpo unico e le due categorie di insegnanti sono   confluite in una nuova specie docente.
Questa evoluzione, come tutte le evoluzioni, è stata possibile perché si sono presentate le condizioni favorevoli affinché si affermasse questo nuovo tipo di docente.
Noi  insegnanti ci siamo trovati ad apprezzare i nuovi strumenti, di contro rimpiangiamo la semplicità e la leggerezza della “bassa tecnologia” con  gesso e lavagna.
Ognuno di noi potrebbe soffermarsi a riflettere su quanto tempo sarebbe stato necessario in tempi di normalità  per acquisire le competenze sviluppate in questo straordinario periodo, su quanti corsi di aggiornamento avrebbe   dovuto seguire, magari    distrattamente e  controvoglia.
Tra i docenti c'era ancora chi aveva mal digerito l'avvento del registro elettronico e periodicamente si faceva promotore di un ritorno al cartaceo, invece eccolo qua il “lockdown” e quello che non è avvenuto in vent'anni è avvenuto in un paio di mesi.
È ovvio che   avremmo fatto volentieri a meno di questa emergenza e acquisito placidamente  competenze tecniche: ma così non è stato, non ci è stato chiesto di scegliere.
In realtà questo brusco cambiamento ha riguardato anche i nostri alunni e le nostre alunne: nel nostro immaginario i ragazzi e le ragazze  sono naturalmente  portati  alla tecnologia, ma   in realtà sono regrediti negli ultimi anni   nell'uso  del computer   perché l'avvento dello smartphone ha fagocitato il loro tempo e spesso ahimè anche i loro interessi.
Infatti, pur avendo alunni “smanettoni” con lo smartphone, non è stato poi così raro avere ragazzi che non sanno aprire la posta elettronica o che hanno seri problemi con l'account.
In particolare i miei ragazzi hanno molto apprezzato le videolezioni asincrone, che a me richiedono  un tempo infinito per la loro realizzazione ma a loro danno la grande opportunità di rilettura degli argomenti svolti.
Ma diciamoci la verità:  chi di noi preferirebbe questo tipo di lezione allo stare in classe?
Qui viene a mancare  l’autentica  comunicazione non verbale, in entrambi i sensi  di trasmissione.
Chi come me coltiva il motto “ ludendo docere” e fa dell'empatia   uno strumento fondamentale della propria azione didattica, non può che attendere con ansia il ritorno in classe.
Durante le lezioni in classe sono in moto perpetuo e credevo che questo mio necessario girovagare potesse infastidire qualche studente, invece con sorpresa,    mi sono congedato dalle mie classi  con la comune speranza   che possa tornare di nuovo in orbita attorno a loro.


*13. La Dad dal punto di vista del cuore di Patrizia Salerno-docente di lettere-Scuola
Media-Acicatena

La DAD dal punto di vista del cuore: malinconia, assenza, vuoto. Non potere attraverso sguardi, gesti, sorrisi, complicità, cogliere il malessere, la gioia, i sentimenti dei miei ragazzi perché uno schermo è un filtro freddo e privo di vita che mistifica e pone un'arida barriera.
La DAD dal punto di vista "istituzionale": un insieme rivoltante di falsità.
Un terreno pietroso non produce frutto, una didattica senza possibilità dialettica, che non è pura trasmissione di saperi ma implica scambio, è arida e non stimola crescita, impedisce al pensiero critico- analitico, di sbocciare, "rattrappisce" il concetto di cultura. Volere rivestire di legalità e credibilità tutto questo è inaccettabile per tutti coloro che non solo fanno scuola ma sono la scuola, sono fra i responsabili della futura Umanità.
Provo rabbia, ribellione, risentimento.
  La scuola è luogo di persone che s'incontrano e crescono, non di macchine.Ho bisogno di far rivivere il cuore in quel meraviglioso mondo che lega docente e discente, che  mi lega  ai miei  meravigliosi ragazzi e ragazze.

*12Passione: il “filo di lana” che ci lega


di Silvia Desideri insegnante di lettere I.I.S. “G.Ferraris-F.Brunelleschi” Empoli (FI)

L’eccezionale situazione, che abbiamo vissuto e stiamo vivendo, ha messo sotto i riflettori l’urgenza di attivare la modalità di didattica a distanza, unico modo per mantenere   non solo la funzione del lavoro didattico, ma anche il legame cognitivo ed emotivo tra scuola, studenti e famiglie.
Nonostante ciò, la scuola a distanza non può e non potrà sostituirsi al lavoro in presenza, alla relazione educativa in aula, in cui discenti e docenti comunicano non solo con le parole, i libri, i video, gli strumenti tecnologici, ma soprattutto con gli sguardi, l’incontro fisico e l’empatia, indispensabili per la formazione della persona e del cittadino. Le tecnologie, o meglio le tecnologie di apprendimento, ci hanno offerto e ci offrono l’opportunità di continuare il rapporto didattico con i nostri studenti e di “stare in contatto” con loro, ma non ci permettono un rapporto di vicinanza fisica in classe, giorno dopo giorno. La fissità di uno schermo non fa trasparire emozioni, sgomento, paure, angosce e/o speranze.L’emergenza Covid-19 ci ha colti tutti impreparati, il cambiamento è stato repentino e ha messo in evidenza le differenze economiche e culturali. Il nostro Istituto ha aiutato, in tal senso, studenti e  famiglie in difficoltà, ma non ha potuto, certo, supplire agli improvvisi blackout, al malfunzionamento della connessione, o alla mancanza di un ambiente adeguato per poter partecipare alle lezioni; qualcuno ha intorno fratelli, sorelle o cugini vocianti; qualcuno si trova nel ripostiglio con la lavatrice e gli indumenti da lavare etc. Noi insegnanti, per ovviare a tali eterogeneità di situazioni e condizioni, siamo stati flessibili e ci siamo messi a disposizione per assistere i ragazzi in qualsiasi momento della giornata.
Il lavoro che sta dietro alla didattica a distanza è stato ed è, notevole e incalcolabile, per rendere accessibile la lezione, che manca di empatia, di condivisione fisica e di gestualità, gli insegnanti hanno dovuto ripensare e reinventare una didattica diversa. Cercando di ovviare all’eterogeneità di situazioni e condizioni delle famiglie, che ha reso e rende ancor più difficile il nostro lavoro di insegnanti.In tal contesto, il sapere e la conoscenza devono essere rivalutati come “antidoti” che ci rendono più forti e più potenti. Pensiamo agli occhi puntati che tutti noi abbiamo in questo periodo sulla scienza, sugli scienziati e sui biologi, che si basano proprio su una ricerca continua. Pertanto, conoscere, sapere, imparare sono atti necessari irrinunciabili e non rinviabili. Come docente referente di vari progetti, quali, per esempio, il Laboratorio Teatrale e lo Scrilab con produzione di cortometraggi, mi è sembrato opportuno, continuare le attività pomeridiane, con tutte le difficoltà dovute alla distanza, alla condizione di separatezza e alla surreale situazione, per creare occasioni di reiterata socializzazione in un ambiente condiviso, seppur virtuale. Importante per “nutrire” lo spirito degli studenti, per allontanarli il meno possibile dalla quotidianità, per dare loro una speranza, la possibilità di essere utili alla società e cercare di trasformare un periodo di paure ed incertezze in un momento di crescita. In tutto ciò è stata fondamentale la partecipazione di alcuni studenti, già diplomati, attraverso il "filo di lana" che li lega all'Istituto. Ciascuno di loro ha messo a disposizione la propria fantasia, le proprie competenze collaborando per uno scopo comune, rafforzando pertanto il senso di comunità. Gli incontri avvenuti nella nostra “agorà virtuale” sono stati fondamentali per imparare, collaborare, infondere autostima, crescere personalmente e culturalmente, definendo la propria individualità all’interno del gruppo (anche se a distanza). Il compito della scuola, infatti, non è solo preparare ad una professione, ma anche insegnare ad esercitare autonomamente il proprio pensiero critico. Da Marzo in poi, quindi, per esempio l’attività del Laboratorio Teatrale ha proseguito online. Piccoli gruppi interscambiabili si sono alternati, quotidianamente. Mancando la dimensione fisica del teatro, dello spazio collettivo, della voce spiegata, dei gesti grandi, della forza, dell’intensità, della felicità, abbiamo scelto di adattarci al tempo: voci e volti raccolti da dispositivi individuali, piccole e grandi isole. “Arcipelaghi”. Anche per l’attività dello Scrilab gli obiettivi inizialmente prefissati sono stati rimodulati sulla situazione, sulla riflessione e documentazione dell’emergenza attuale.Forse, da questa esperienza usciremo cambiati. La pandemia ha messo in crisi la nostra routine, le nostre certezze, ma ha rafforzato il senso di appartenenza al proprio Istituto, alla propria Regione e al proprio Paese.

11. *Leo e la Prof 
(Im)probabile conversazione al tempo dell’amico Virus

di Vera Parisi, docente di Storia e Filosofia-Noto 

Quando la mia amica Pina Arena mi ha chiesto di dire la mia sulla DaD, ero in un momento di puro stress per le tante, inutili richieste a cui il sistema burocratico, il mondo di carta, ora assolutamente digitale, ci sottopone.
Avrei potuto dire solo peste e corna della Didattica a Distanza, una realtà fatta di numeri astratti che dimentica cos’è la scuola, l’educazione, il rapporto autentico tra persone. Perché, diciamolo, abbiamo accentuato in modo esponenziale le diseguaglianze e tante e tanti studenti li abbiamo persi per strada. 
Alla fine, ho deciso di raccontare un incontro, una “(im)probabile” conversazione ai tempi dell’amico Virus.

-          Ciao Leo, come stai?
-          Bene Prof! Perché?
-          Non ti ho visto negli ultimi video incontri… come mai?
-          Non so, Prof, che mi succede, ma non ho proprio voglia di studiare e non so come fare…
-          Ti videochiamo? Vuoi che ne parliamo?
-          Sì! Mi farebbe piacere… se per lei non è un fastidio.
-          Oh! Finalmente ti vedo… è bello rivedere i tuoi occhi, dicono sempre tante cose.
-          Anche a me fa piacere Prof…
-          Allora Leo, che cosa non va?
-          Prof, sono sempre stato così, passo momenti in cui non mi interessa nulla…
-          Sì, ma questi momenti li attraversi, li superi… Ora cosa c’è di nuovo?
-          In realtà nulla esteriormente, tutto come sempre…
-          Ma è nuovo questo “Tutto come sempre”? Fammi capire: com’è sempre?
-          Vivo nella stessa casa con mia madre, il suo compagno e mia sorella, più grande di me.
-          E papà?
-          I miei sono separati da tanti anni, non è una novità… non lo vedo da mesi e se non lo chiamassi io, lui non si farebbe mai sentire.
-          Che cosa allora è diverso?
-          Quanto sento la sua mancanza… questo è diverso! Vivo sempre con le stesse persone, ma ora mi sento più solo. Poi c’è mia sorella, che normalmente è all’università, ora è a casa e non mi sopporta. Grida sempre, le do fastidio.
-          Sei sicuro di non poter fare nulla per modificare questo rapporto con tua sorella? Non avete niente in comune? Sei proprio sicuro?
-          Forse anche lei è arrabbiata con mio padre, lei addirittura non ci parla da tanto tempo… potremmo parlarne ed aiutarci. Insieme andrebbe meglio?
-          Certo Leo, provaci… guardala negli occhi e dille quello che senti, non ti chiudere, insieme è più semplice, insieme diventiamo più resistenti a tutto questo.
-          Si Prof, ha ragione.
-          Guardati Leo, ora i tuoi occhi sorridono.
-          Grazie Prof! Sto meglio! Quando ci vediamo per parlare un po’ di Platone?

Come dice Leo, prima vivere nella stessa casa non era un problema, ognuno aveva la propria vita, stare fuori ci permetteva di “sopportare” quello che c’era dentro. Ora lo spazio fisico delle nostre case diventa un luogo da cui non si può evadere, è un confronto/scontro con se stessi, i propri limiti, le fragilità.
Pascal diceva che “l’uomo è talmente superficiale che non sa stare da solo”. Grazie a questo virus, perciò amico, possiamo trarre una grande lezione da questa esperienza. La possibilità per noi, insegnanti e non solo, di abbandonare l’ego superficiale, di accogliere e ascoltare, nell’attesa di incontrarci “a distanza”. Quegli abbracci con gli occhi che ci attendono sono una nuova promessa, un’urgente necessità.












10. *Dad: dall'emergenza un'esperienza virtuosa        

di Rosa Perupato, insegnante della scuola primaria-Vittoria (RG)

Dai primi di Marzo ci siamo trovati catapultati in una situazione irreale, nessuno immaginava lo scatenarsi di una pandemia che avrebbe sconvolta la vita di grandi e piccini. Tutte le attività sono state sospese e con esse anche la normale routine scolastica.Per noi insegnanti è iniziato un periodo molto strano, lavorare da casa con il computer, quasi ininterrottamente. La prima emergenza che ho sentito forte, è stata quella di rasserenare i miei alunni e le mie alunne, con registrazioni audio e video per far sentire loro la mia vicinanza. Poi ho cercato di ricreare un ambiente scolastico virtuale, mantenendo l’orario settimanale per le varie discipline.Ho utilizzato diversi strumenti, tra cui il registro elettronico, Telegram e screencast-o-matic per le video lezioni. La mia scuola si è attivata soltanto a maggio con google classroom che ho subito utilizzato, per incontri di socializzazione con gli alunni e le alunne e per qualche conversazione a tema.In questo periodo di quarantena forzata, si è rinforzato il rapporto non solo con gli alunni e le alunne, ma anche con le famiglie che hanno sentito la necessità di colloquiare con me, per telefono per sentirsi confortate e rasserenate.Un’attività importante che ho realizzato, da subito, è stata quella di sollecitare una scrittura collettiva su quello che stava succedendo(un compito autentico), quasi a sdrammatizzare la situazione che diveniva ogni giorno più grave e difficile. Il prodotto che ne è venuto fuori, corredato da disegni, è un testo bello, ricco di fantasia e di ottimismo, come solo i bambini e le bambine sanno far scaturire anche nelle situazioni più drammatiche.Posso affermare che questa situazione di DAD mi ha arricchita umanamente e professionalmente, valorizzando di più ciascun bambino e bambina a me affidato/a e imparando, come in una full immersion, ad utilizzare nuovi strumenti tecnologici e ad applicare nuove strategie al fine di rendere appetibile il sapere, anche in questa situazione.   Sottolineo,  però, che  la DAD  resta lavoro necessario e virtuoso  in tempo di emergenza, da travasare nell'unica vera scuola possibile: quella reale.









9. *DAD: un’opportunità per una scuola umana?

   di Pina Arena insegnante di Lettere, Liceo scientifico Catania

La DAD è un’ opportunità in questa emergenza,  necessaria ora, crea contatti,  espande il nostro lavoro, ma non sa e non può  sostituirlo, perché la professione docente  è fondata sulle emozioni, sulla fisicità,  sulle relazioni tra l’insegnante- la persona che  con professionalità e umanità  veicola  e media saperi, li rimastica  e comunica, anche con il corpo-  e studente, la  persona che li accoglie e rimodula , rimastica , fa  propri.  
E sono gli\le  studenti  più fragili ad aver bisogno più fortemente della dimensione fisico-relazionale nella pratica educativa e didattica. Sono le persone più fragili a cedere di fronte alla fissità rigida di una macchina che non guarda negli occhi, che non coglie  l’incrinatura dello sguardo, che non tradisce l’emozione della lettura di un testo poetico.
Eppure la macchina è una potente aiutante, moltiplicatrice di azioni parallele: espande il nostro lavoro su mondi virtuali, fa navigare nei percorsi multiformi di saperi che s’incrociano ed assumono forme diverse, si colorano di musica, immagini grafiche e cinematografiche. Consentono l’incontro con altre voci lontane che arricchiscono e potenziano la fisicità e l’umana relazione. Ma non la sostituiscono. Non possono sostituirla nel prezioso lavoro ordinario.   
Il dispositivo digitale  svolge con rigore  anche  il compito di  misuratore e  controllore oggettivo: vigila sui compiti prodotti da ogni studente, li conteggia, comunica orari e regolarità di consegne. Ben venga il suo meccanico aiuto. Porta regola, dà numeri e statistiche  che aiutano a decifrare la qualità dei processi. Ma non basta! Ben venga il meccanico aiutante, ma non basta!
Come ogni rivoluzione,  la rivoluzione necessaria della dad semina  anche distruzione mentre costruisce.  Chi ha sempre lavorato lavora anche di più, partecipa alla scommessa, fa tesoro dell’emergenza.
Chi non è economicamente o culturalmente adeguato si perde,  abbandona. Chi è più fragile, non ha sufficienti mezzi, pc, memorie digitali adeguate, dispositivi giusti, camera propria e  non condivisa con due sorelline vocianti, chi non ha altri trenta libri in casa, ambiente favorevole,   non sta al passo, non può partecipare alla pari, esserci.  E si perde anche chi pur disponendo di   piattaforme digitali,  ha  una storia di debolezza  motivazionale.
Eppure deve  essere questa la scommessa: una scuola inclusiva, capace di valorizzare e sostenere ogni persona, in modi differenti, diversificati.   Non abbandonando i più vulnerabili, i più fragili o solo i più timidi e timorosi, in un tempo in cui un’emergenza       sanitaria mette sotto gli occhi di tutti proprio  che la vulnerabilità è propria di ogni essere umano.  umani.   Proprio per questo è necessario  “mantenersi in contatto con l'aspetto umano”  facendo scelte che  non prescindano mai dall’umanità che è in ciascuno\a di noi.


Ora ci attendono la conclusione di un anno di scuola diverso  e l’inizio di un nuovo anno  di scuola in un tempo  che è fuori dell’emergenza ma in cui l’emergenza, così ci dicono, non sarà ancora risolta.  Una possibile via da percorrere è quella mista, in questo tempo di transizione: coniugare dad e didattica in presenza, dividendo la settimana in due parti disuguali, ma solo per studenti delle scuole superiori, è una via  che  permette di valorizzare le risorse migliori delle due modalità didattiche, risparmio di strumenti e maggiore condivisione di mezzi per le scuole, perfino  risparmi di carburanti  per i trasporti.  Ferma restando la centralità delle persone, delle umane relazioni, della crescita umana. Ferma restando la consapevolezza che la lezione d’aula in presenza resterà  insostituibile e che solo  l’esperienza e l’alta professionalità docente sono  capaci di rimodulare , almeno in parte, nell’emergenza,  la comunicazione e la condivisione fisica, necessari motori di empatia.  
  Che sia arrivato anche  il momento di  mettere fine al disastro antico, sempre denunciato mai ascoltato, delle classi-pollaio? Ripartiamo da qui. E’ necessario. 




8. *DAD  e  Sostegno: condividere e gestire  conoscenze e   buone pratiche.


di Maria Tripoli,  insegnante di sostegno, Istituto Tecnico-Catania 


Sono una docente di sostegno che fa  il suo lavoro con amore, umiltà ed onestà intellettuale.
Dovete tenere presenti due cose fondamentali, la prima e più importante è il "come" si svolge il nostro lavoro. Lo abbiamo ripetuto sino alla noia, noi lavoriamo a pochi cm. di distanza e il rapporto che si instaura con l’altro\a  è anche tattile, emotivo, basato sui cinque sensi.
In questa emergenza uno degli aspetti più importanti era mantenere vivo il rapporto con allievi,allieve  e le famiglie e quindi la socializzazione, ed è quello che abbiamo fatto da subito. 
Se noi docenti di sostegno abbiamo riempito schede di monitoraggio, descrivendo ciò che abbiamo fatto e le criticità per quello che non è stato fatto, perché non chiederlo ai curricolari cosa didatticamente hanno eseguito nei confronti dei disabili, come hanno partecipato con i docenti di sostegno? E soprattutto che materiale hanno fornito loro?
Come hanno lasciato i compiti? In accordo preventivo con   docenti di sostegno o in modalità “uguale per tutti\e”?
 Le domande che dovrebbero sorgere sono molte e semplici, limpide e chiare. Non sono semplicemente polemiche, ma mettere in chiaro una uniformità, che dovrebbe fare parte delle buone regole della pratica educativa didattica e in modo particolare, in questo peculiare momento, in cui noi docenti di sostegno siamo rimasti   soli, nel chiuso delle nostre stanze, con profonda umiltà ed amarezza, a renderci conto della nostra solitudine, lavorando sodo su tutte le materie, senza alcun libro davanti, inventandoci tuttologi.
Era quello che abbiamo sempre fatto a scuola, in presenza.
Ma lì, a scuola, avevamo libri, consulenze dei nostri colleghi, a cui chiedevamo qualsiasi tipo di chiarimento, senza alcun tipo di ritrosia.
L’acronimo DAD utilizzato è di per sé non integrante.
La DAD aumenterà le disuguaglianze e le differenze e creerà nativi digitali autistici, senza socializzazione ed empatia.
  La scuola non è solo apprendistato, addestramento, ma è una palestra di vita, dove i disabili sono necessari alla classe e viceversa.
Non sono da escludere, ma includerli con la relazione, con la pratica dell’imitazione.
Se io sono un autistico posso solo crescere con la relazione con   le altre persone, nell'imitazione con   compagni e compagne e nel rapporto con ogni  docente.
Senza socializzazione non può esserci apprendimento.
Si è invece posto l’accento sull'uso dei mezzi tecnologici e prontamente con la dotazione di tablet, come se l’essere handicappato soffre anche della mancanza di tablet e PC. 
 La “mia ragazza” ha ogni mezzo a disposizione, persino una stampante, con cui prontamente la mamma stampa il materiale da me fornito e subito fruibile.
Bisogna recuperare più in fretta possibile la vicinanza, vicinanza di affetti, di sguardi complici, di vicinanza di idee e pratica educativa. Create delle piattaforme per i curricolari ove possono concordare con noi, materiale fruibili per loro, in collaborazione con noi docenti di sostegno in condivisione.
Sono loro che devono essere formati, non noi.
Noi sappiamo come arrivare a loro e con quale metodologia.
Loro si devono accostare ad una nuova didattica, devono parlare con nuove parole, con una nuova grazia, devono soprattutto mantenere vivo il senso di comunità classe, devono mantenere vivo il senso di appartenenza alla classe, devono mantenere vive le relazioni dei rapporti.
Noi  diamo il "filo" e loro con leggiadria e responsabilità dovranno tirarlo.
Di conseguenza significa prestare attenzione alle specifiche esigenze e alle loro potenzialità. La nostra sfida è quella che dovrebbe essere di ogni consiglio di classe, per sanare "disallineamenti" che si sono verificati e reimpostare strategie didattiche ed educative per recuperare la socializzazione e la didattica inclusiva.
Creare nuove pratiche ed occasioni di reiterata socializzazione in un ambiente condiviso, seppur virtuale.
In questo periodo non è importante la quantità ma la qualità delle attività proposte, l’importanza delle relazioni attivate, delle occasioni, delle valutazioni verificate, su solidi basi metodologiche.  Integrare le tre tematiche, handicap,  tecnologie e scuola. 

Inoltre realizzare un sistema di condivisione e gestione delle conoscenze e delle buone pratiche, con un sistema cooperativo tra scuole, per offrire supporto anche tecnologico e soprattutto creare un apposito gruppo di esperti indicati dal MIUR. 
 Mentre scrivo arriva sul Corriere della sera anche la risposta della Ministra alla mia precedente lettera e le sue parole mi fanno sperare.  
Riflettiamo insieme, parliamone ancora.



7. *Le emozioni superano le distanze
di Linda Adamo, insegnante di diritto-Liceo Scientifico-Catania




Alle mie alunne e ai miei alunni
Come primi attori e attrici inconsapevoli di una pagina di vita inusuale, quasi una commedia estemporanea senza sceneggiatura e senza prove, siete protagonisti di una realtà anomala, così lontana da ciò a cui siamo abituati da apparire quasi incomprensibile.
Eppure, in questo vortice di morti numerate, di storie urlate o sussurrate, di dolori e di rinascite, avete suscitato in me nuove emozioni, quelle silenti, quelle che anche un' insegnante esperiente può scoprire di provare, di voler nutrire e gestire.
E così, dietro quegli schermi dei vostri dispositivi che segnano i confini e le distanze, invece ravviso nuove emozioni. E nella drammaticità del momento, dal groviglio dei miei sentimenti opposti, il mio sgomento di adulta si trasforma per voi in speranza; la mia paura solitaria si è vestita da gioia comune; il mio domani incerto diventa per voi conferma sicura. E sono così anch’io protagonista di una difficile pagina di vita, chiamata ad affiancare i vostri stati emotivi per viverli alla pari.
E poi nel concreto, la sveglia del mattino diventa complicità, la vostra quotidianità mi apre le porte e la vita appare in comune. Le pareti delle camere delineano il vostro isolamento, uno spazio che adesso diventa di tutti.  Il contatto esclusivo con ciascuno e ciascuna di voi, forse prima effimero e marginale, durante una lezione scandita dal suono di una campana, ora diventa discreto e personale e così perdo memoria del mio ruolo precedente. Non trovo invadente il vostro messaggio anche in orario inusuale e non segno ore in agenda, perché insieme abbiamo perso la cognizione del tempo. E dove le condizioni personali vi hanno diviso dagli altri, io ho provato a colmare le differenze e a mantenere un discreto silenzio. E così attendo con piacere di rivedervi e di risentirvi per ospitarvi nella mia casa, continuando ad indossare gli abiti da uscita e i monili visibili, con la stessa cura di prima, per onorarvi e compiacervi, sia pur nel mio immaginario.
E mi appare la ratio di tutto ciò:  poiché il momento che ci accomuna è un cammino di vita che non conosce precedenti, né età, né luoghi reali o virtuali, ma solo speranza per un futuro certo, non resta che condividere il nostro tempo dilatato e viverlo insieme, pur nella consapevolezza dei ruoli diversi. 
Ma un merito inconsapevole che vi è dovuto sarà quello di avermi fatto scoprire un nuovo spazio di riflessione, di aver trovato il tempo di curare i dettagli della nostra amicizia e di aver suscitato in me nuove emozioni, quelle che ad una certa età non riconosci o non ti entusiasmano più, quelle che qui, invece, hanno superato anche le distanze. 
Grazie, la vostra prof



6. *Dad  e l’opportunità di una sperimentazione che apre ad un mondo nuovo

 di Caterina Chiofalo, insegnante di Letteratura Italiana –Liceo scientifico- Catania

A distanza di un mese possiamo fare una prima verifica del lavoro svolto. Com'è andata? Personalmente mi sento soddisfatta del mio lavoro e di quello delle ragazze e dei ragazzi.
Dopo la faticaccia iniziale, ma che perdura,  (dal chiuso del mio studio ho dovuto imparare da sola l'utilizzo delle nuove piattaforme e le conseguenti nuove  caratteristiche della D A D, metodologie, strategie di insegnamento, valutazione, tecniche di coinvolgimento e motivazioni delle alunne e degli alunni) il mio impegno è stato premiato.
Le discenti e i discenti hanno risposto positivamente. La tecnologia , tanto amata dalla gioventù, li ha coinvolti piacevolmente e anche i più pigri e le più pigre non avevano più scuse: si trattava del loro mondo, del loro sistema preferito di comunicazione.
 Per  noi insegnanti , per un verso, i dispositivi digitali offrono l’opportunità di strumenti che aperti alle    aspirazioni conoscitive dei ragazzi e delle ragazze.   Occasione per meditare sulla rimodulazione degli  antichi "saperi essenziali".  
Che cos'è davvero importante? E’ tempo di fermarci e  porci questa domanda. Bisogna scoprire che cosa può interessare un giovane del terzo millennio e, per di più, in una situazione di emergenza. Ecco, dunque, come un  semplice cambiamento della tecnica di insegnamento può venire in aiuto e  far meditare , sperimentando, sul  rapporto fra la conoscenza e le nuove generazioni, tra gli insegnanti e le insegnanti ,da una parte ,e i discenti le discenti, dall'altra, almeno con i più grandi.
       Insegno in un liceo e posso dire che i più  mi hanno seguita e con entusiasmo. Qualcuno   ha   faticato, spesso per le  problematiche che la scuola da sola non può certo risolvere.
Qualche difficoltà in più ho riscontrato, infatti, con i/le più giovani, i ragazzi e le ragazze del primo anno , che ancora da poco tempo si erano adattati/e alla realtà della scuola superiore e sono rimaste/i spiazzati da questo cambiamento repentino. Ma credo che una didattica mista, come quella che si prevede per il prossimo anno scolastico, potrebbe essere efficace anche per loro , che , supportati da alcune lezioni in presenza, neessarie per un approccio più diretto e guidato all'apprendimento , sicuramente si abituerebbero alle infinite possibilità della didattica telematica.




5.*LA SCUOLA  AL TEMPO DEL
CORONAVIRUS  e la nostalgia della scuola reale
di Santina Giuffrida,  insegnante di Lettere –Liceo scientifico- San Giovanni La Punta-Catania 

All’improvviso, da un giorno all’altro la vita è cambiata, le scuole sono state chiuse, tutto si è fermato, ma in realtà nulla si è fermato.
La scuola si è dovuta reinventare…ma è sempre stata un punto di riferimento fondamentale per ogni studente.
 Docenti e alunni  non hanno mai interrotto la comunicazione, prima attraverso i social con gruppi classe già esistenti o subito costituiti e successivamente mediante la nascita di classi virtuali su piattaforme con audio e videolezioni, verifiche scritte e interrogazioni. Un vero terremoto…
Docenti di ogni ordine e grado si sono  autoaggiornati  ed adattati  a tecniche nuove di comunicazione a cui la scuola non era abituata e talvolta… senza indicazioni chiare.
Gli alunni poi, molte volte  privi degli strumenti informatici indispensabili allo scopo, computer e tablet, hanno improvvisamente visto nel cellulare, fino a quel momento mezzo di comunicazione amicale e di gioco, un supporto prezioso per l’attività didattica.
 La scuola è flessibile, si reinventa e sperimenta ma quanta fatica! Quanto lavoro, senza tempo, senza confine. 
Molti alunni stanno comprendendo solo oggi la bellezza di frequentare ogni giorno, di incontrare i compagni in presenza, di dialogare con gli insegnanti e tanti docenti stanno utilizzando pratiche didattiche che mai avrebbero pensato di adottare.
Forse  da questa esperienza terribile usciremo tutti cambiati, in meglio…
La pandemia ha messo in crisi le certezze del mondo contemporaneo, ha rafforzato negli Italiani  e nelle Italiane il senso di appartenenza al proprio grande Paese , ha dato valore a quanto davamo per scontato e ci ha fatto riscoprire l’importanza dei rapporti umani e la bellezza della libertà.





4. *DAD, una normalità da emergenza 

di Carmen Cusimano, insegnante di Lingua inglese  –Liceo scientifico- Catania    

L'ultimo acronimo familiare a tutti gli Italiani è  DAD, croce e delizia di studenti e docenti. Venuto fuori a seguito di una grave emergenza nazionale, è la risposta fattiva, prepotente e forte di una categoria di professionisti che, ancora una volta , dimostrano la loro capacità di modulare le abilità e piegarle alle esigenze cogenti. Se in un primo momento la drammaticità della situazione nazionale aveva preso il sopravvento, lasciando tutti sgomenti, è bastato poco per comprendere che bisognava darsi da fare. Ancor prima che le scuole di appartenenza si organizzassero con piattaforme dedicate, più o meno sicure in termini di privacy, già  docenti e alunni si erano organizzati per continuare il percorso formativo interrotto troppo presto. Nella mia esperienza con 6 classi, ho registrato una risposta positiva da parte della maggior parte dei miei alunni, molti di loro hanno avvertito e avvertono la necessità di questo appuntamento quotidiano per mantenere quella socialità negata, quella parvenza di normalità. Alcuni trovano questa metodica più efficace dal punto di vista didattico, altri faticano a star dietro uno schermo dal quale spesso si rendono invisibili nel caso della video lezione (la videocamera non funziona, la connessione è intermittente , il microfono si è rotto, ho finito i giga), altri ancora rispondono all'appello poi scompaiono, taluni fanno colazione a tutte le ore, perfino “ mi scusi devo andare a mangiare, mamma mi chiama” alle 12.40.
Ma quel che manca è il gruppo classe, la normalità. In realtà  ho registrato una maggiore costanza nella produzione scritta , benché la tentazione del copia incolla  che fa produrre loro testi accademici è forte! Ma almeno si impegnano, forse è anche la giusta occasione per comprendere che internet non è solo usare i social, ma anche navigare per conoscere, documentarsi, comparare, apprendere.

Se per gli studenti la DAD è diventata la normalità, il lavoro che sta dietro è notevole, per rendere accessibile la lezione che manca di gestualità, di sguardi , di condivisione fisica, di empatia,  i/le docenti hanno reinterpretato e ripensato il modo di svolgere la lezione preparando mappe, percorsi guidati , proponendo link dalla rete, sperimentando   nuove strategie didattiche. Ma questo è il nostro lavoro, rimodulato davanti ad un freddo dispositivo elettronico surrogato del gruppo classe!



3. *DaD: tra inadeguatezza e positività

di Maria Pia Dell'Erba, docente di materie letterarie -Liceo Scientifico-Catania

Lo smart working dell’insegnante ha già una sua sigla: DaD, Didattica a Distanza. Un altro acronimo che si va ad aggiungere al vocabolario di termini occulti che fanno parte della burocrazia kafkiana della quotidianità della scuola. 
Nomi arcani che solo gli iniziati possono decifrare e utilizzare con scioltezza e che compongono una neolingua che si arricchisce ogni anno di neologismi dal suono cacofonico. Ci siamo abituati al POF che è diventato PTOF, all’ASL che è diventata PCTO, parliamo con disinvoltura di PON, da non confondere con POR, di RAV, di AD e di tanto altro. 
Uno dei pochi aspetti positivi della Buona Scuola renziana, l’unico a mio avviso, è stato lo sforzo, fin qui per lo più vano, di promuovere l’aggiornamento in massa della classe docente sullo sviluppo delle competenze digitali.
 L’emergenza ha colto impreparati i più: e non parlo solo dei docenti. Perché i nativi digitali si sono scoperti impacciati e inadeguati, pure loro incapaci di muoversi con sicurezza tra piattaforme e videolezioni. 
Ma se l’inadeguatezza delle competenze digitali tutto sommato è semplice da sanare, basta volerlo, perché è sufficiente seguire i canali di generosi youtuber che in pochi minuti colmano baratri di ignoranza tecnologica con pillole di saggezza digitale, invece la DaD ha messo in luce inadeguatezze ben più importanti, che affondano nell’organizzazione profondamente antidemocratica della nostra società.
 Le scuole e gli alunni più disagiati ne pagano le conseguenze: il divario economico e sociale di scuole e famiglie non è più un dato da statistica, adesso si mostra in tutta la sua drammaticità soprattutto nelle scuole elementari di quartiere, nei bambini che stanno imparando a leggere e scrivere e che di questo momento storico riporteranno cicatrici culturali profonde che solo la loro volontà di rivalsa potrà sanare. Non è colpa loro, non è colpa della loro istituzione scolastica di appartenenza, non è colpa dei loro insegnanti. E’ colpa di tutti noi che abbiamo contribuito a costruire questa società così come è: antidemocratica, elitaria, egoista.
Ma se possiamo trovare un insegnamento veramente utile in questa situazione di emergenza è constatare che l’inadeguatezza nella gestione dei nostri rapporti a distanza è incolmabile.  Non ci sono video tutorial esaustivi, non c’è digitale che ci educhi, non ci sono piattaforme che possano sostituire il piacere di incontrarsi, parlarsi, toccarsi. Ed è cosa buona e giusta. Perché lo sapevamo, ma l’abbiamo verificato in questi giorni, che siamo necessari gli uni agli altri, che tra insegnanti e alunni è importante interagire in presenza, non solo per trasmetterci conoscenze e competenze: magari per litigare in santa pace, per amarci e odiarci a giorni alterni, per vivere insieme.
Nelle azioni partorite dal disagio dell’emergenza di questi giorni, il Miur ha dimostrato saggezza eliminando Invalsi e PCTO. Odiosi turpiloqui di un vocabolario da burocrati da tavolino che rimandano a progettualità inefficaci e antidemocratiche, che riducono le une, le prove Invalsi, a selezionare eccellenze da statistica, gli altri, i PCTO, ad asservire la Scuola alle divinità del Profitto e dell’Economia.
Adesso è il momento di fare un altro passo avanti per i nostri e le nostre ragazze: vengano eliminati i test di accesso all’università, strumenti satanici di selezione antidemocratica, lesivi di sacrosante libertà personali. I giovani in questo momento sono privati dei loro affetti, delle loro passioni, della loro quotidianità; in cambio avranno un mondo da ricostruire, un’economia da ricomporre, dei rapporti sociali da reinventare. Piuttosto vengano stimolate e favorite le loro progettualità; o meglio, i loro sogni e i loro desideri. Per il resto non rimane che da rimboccarci le maniche e metterci a lavoro. Andiamo avanti ragazzi e ragazze!



2.*La Dad alla scuola primaria

di Paola Cinquerrui, 

insegnante della scuola primaria-Catania



Assioma della pedagogia è che non c’è apprendimento se non c‘è la relazione tra insegnanti e discenti e, in questo momento di emergenza sanitaria, anche il Ministero dell’Istruzione ha sollecitato il corpo docente a mutuare l’ambiente di apprendimento-classe nella classe virtuale della didattica a distanza (DaD), mantenendo soprattutto con le bambine e i bambini più piccoli una relazione che vada al di là della semplice assegnazione di compiti. Nel contempo però il MIUR raccomanda che si attuino metodi che consentano alle alunne e agli alunni di operare in autonomia, non solo “riducendo al massimo gli oneri a carico delle famiglie (impegnate spesso, a loro volta, nel lavoro agile)”, ma anche evitando loro rischi alla salute derivanti da un’eccessiva permanenza davanti agli schermi. Questo fa sì che nella scuola Primaria la DaD sia una sfida ancora più grande di quella realizzabile nella scuola secondaria.

Le nostre piccole bambine e i nostri piccoli bambini, benché nativi digitali, hanno necessità del supporto dei genitori per fruire dei contenuti o per entrare in videoconferenza con le/gli insegnanti. In tale contesto, la mia esperienza mi fa rilevare che da una parte ci sono genitori che chiedono a viva voce di mantenere contatti costanti tra la scuola e le alunne e gli alunni, auspicando videoconferenze ed incontri on line calendarizzati e periodici.

Dall’altra parte non pochi genitori che, alla sola idea di avere tale assiduità, si rifiutano di entrare nel meccanismo di una quotidianità di scuola-virtuale per i più svariati motivi (mancanza di tempo, penuria di strumenti tecnologici, altri/e figli/e da seguire, scarsità di connessione, questioni di coscienza e di credo educativo, ecc.). Senza parlare poi dei genitori che stanno vivendo in prima linea l’emergenza o perché facenti parte del personale sanitario o perché attaccati dal coronavirus che li devasta prima di tutto psicologicamente. Nel mezzo di questi estremi ci sono miriadi di casi familiari ancora più sfaccettati.Tale eterogeneità di situazioni e condizioni delle famiglie non può che rendere difficile il nostro lavoro di docente che, se in classe riesce a "livellare" le diseguaglianze, ascoltando, osservando, considerando nella loro individualità bambine e bambini, rintracciando in ciascuno di loro possibilità e limiti, al fine di disegnare per ognuno uno specifico percorso di apprendimento, al contrario in queste condizioni di emergenza l’insegnante deve attuare una Dad che non sottolinei tali differenze. E comunque deve fare una scelta che possa incontrare le esigenze di tutti/e o quanto meno della maggioranza delle alunne e degli alunni, operando caso per caso nei confronti di coloro che hanno situazioni al limite.

Se ci ragioniamo su, ci rendiamo conto che questo è il classico contemperamento di interessi che nel nostro caso richiama i fondamentali diritti costituzionalmente garantiti: diritto allo studio di alunne/i (oltre che diritto alla salute), libertà di scelta educativa delle famiglie e libertà di insegnamento del corpo docente.



E non a caso li riporto proprio in quest’ordine che secondo me è quello che permette di avere un quadro chiaro sia alle/agli insegnanti che alle madri e ai padri. Ognuno di noi, qualunque sia la categoria a cui appartiene, deve prima di tutto tutelare il bene più grande che è l’istruzione della propria figlia/alunna o del proprio figlio/alunno, privilegiando comunque l’umanità, il legame affettivo e autentico, il dialogo, in qualunque maniera sia possibile.

Poi, a fronte di qualunque metodologia/contatto, viene prima la libertà di scelta educativa delle famiglie che, dovendo garantire sempre e prima di tutto il diritto allo studio, hanno la possibilità di stabilire cosa sia meglio per la crescita morale e spirituale della propria prole.

 Infine il diritto alla libertà di insegnamento propria delle/dei docenti che, nell’obbligatorietà della DaD, applicano la metodologia e la didattica che ritengono più opportune per far raggiungere alle proprie alunne e ai propri alunni quegli obiettivi che essenziali per l’acquisizione delle competenze, anche umane e relazionali.



  1.* Dad:uno  sguardo al delicato e sconfinato lavoro dell’insegnante

di Marilena Adamo- insegnante di Lingua inglese  –Liceo scientifico- Catania

Dal 7 marzo 2020 la teledidattica ha fatto irruzione nella vita di ogni docente   e ci ha indotto in pochissime ore a domandarci cosa e come fare per le nostre ed i  nostri studenti, rimetterci in gioco, sperimentare e veicolare i tradizionali contenuti didattici in una nuova veste. Sino a quel momento la teledidattica era per me perlopiù uno strumento di autoformazione, attraverso i cosiddetti webinar, e verifica al termine di ogni unità di un  master, corso di perfezionamento o corso universitario online.
La mia esperienza di docente "teledidatta" alle prese con sei classi e due bimbi piccoli è complessa ed ha vantaggi ma anche svantaggi.
Il primo scoglio da superare è stato quello di rivedere i nostri programmi non più alla luce del raggiungimento degli obiettivi minimi per la conoscenza dei contenuti, ma la traduzione degli apprendimenti    in competenze. Ho ripensato a tutte le unità e subito mi sono chiesta: "Come possono fare i miei alunni per farmi capire che hanno appreso,  senza scopiazzare dalle enciclopedie online?"
 Da lì l'idea di spingere il pedale dell'accelerazione sulla realizzazione delle mappe concettuali, l'uso di giochi ed applicazioni educative, presentazioni multimediali, realizzazione di poster e infografiche per le tematiche-chiave, creazione di un fumetto con cui capire se i miei studenti sapessero applicare una regola di grammatica in nuovo contesto.
Questo aspetto  ha dato  subito soddisfazioni: ragazze e ragazzi  hanno realizzato dei lavori creativi che mi hanno stupito, divertito e mi hanno fatto conoscere aspetti del loro carattere per me nuovi.
In questo mese ho ripensato alla mia griglia di valutazione e adesso la voce partecipazione e rielaborazione critica hanno un peso maggiore rispetto al passato.
Non tutti i miei studenti hanno potuto però partecipare: mi ha lasciato sorpresa constatare quanti di loro  hanno solo la tastiera del telefonino come terminale di videoscrittura (eppure molti di loro hanno festeggiato recentemente 18 anni in modo faraonico, persino con viaggio premio all'estero!) oppure non riescano a connettersi, perché vivono in zone ancora poco coperte o abbiano un piano tariffario mensile limitato. Alcuni di loro mi hanno scritto per segnalare i loro problemi, altri invece sono rimasti confinati a casa e spesso lo hanno riferito solo ai compagni.
Questo mi ha fatto capire quanto sia importante nella teledidattica il dialogo ed il clima di fiducia docente-alunni e il ruolo svolto dai rappresentanti di classe, che spesso ti aiutano a capire le paure, i malumori, le fragilità dei compagni, che magari non hanno difficoltà economiche, ma si sono chiusi in cameretta in una sorta di trance davanti a Netflix, un'intera giornata con il pigiama, perché non possono più praticare sport e allora non ha più senso uscire dalla propria stanza.
Ho avuto modo di capire che sono cambiate le problematiche di alcuni alunni (si accentua la solitudine, la dipendenza da dispositivi informatici, l'astenia, l'apatia, ma anche la rabbia e la frustrazione per non poter uscire con gli amici, fare una passeggiata o la paura di fronte alle notizie del contagio) e più volte ho preso carta e penna (cosa che prima non avrei mai fatto) e ho scritto per chiedere cosa non andava. Quindi ho modificato le modalità di interazione con la classe (più email, ma no Whatsapp!).

La mole di lavoro è sicuramente aumentata, ma anche le nostre energie sono messe a dura prova: dopo due ore di progettazione (navigazione su Internet, lettura e confronto fra più fonti, scelta, manipolazione testuale, ecc.) la vista si appanna, sopraggiunge una sensazione di nausea (mai avvertita prima), inizia l'emicrania: quindi a mio avviso, una ripercussione sulla nostra salute psico-fisica c'è.
Per questa ragione si avverte poi il bisogno di staccare e riprendere dopo un po’, magari a visualizzare i lavori svolti o correggerli. Di fatto, non c’è più uno stacco fra ambiente scuola e ambiente casa; anzi la nostra (con i nostri corredi) è come se fosse messa a disposizione dei nostri studenti, che dalla webcam sbirciano il quadro con il voto di laurea della professoressa, piuttosto che l'orologio-angoliera, che non segna più l'ora!
Questi sono aspetti che fanno sorridere  ma mettono sì in luce alcune criticità legate alla privacy nostra e dei nostri alunni.
Purtroppo non posso e poi non lo ritengo neanche giusto (per il consumo di batteria, Giga, ecc.) proporre le mie 18 ore canoniche di videolezione sincrona e per fortuna questo non è stato preteso!
Non solo:  sono madre di  due bambini   di 6 e 4 anni e mi sono all’improvviso  a far loro da insegnante in un turbine di attività da scaricare, vigilare durante lo svolgimento e scansionare a più riprese durante il giorno e contemporaneamente a svolgere l'attività didattica per le mie classi e questo mi dà la sensazione a tratti di scoppiare, non sapere come districarmi.
Sto facendo bene a riprendere mia figlia se scrive i caratteri dal basso verso l'alto o no?
Ecco,  lamento la mancanza di un supporto materiale (la presenza di una babysitter) o psicologico (  che mi aiuti a concentrarmi sulle cose più importanti, focalizzare l'attenzione sul qui ed ora e dominare le sensazioni negative).
Poi però penso che la flessibilità mi permette di spostare una data di scadenza e questo mi fa sentire più tranquilla.
Tuttavia vorrei che i nostri diritti venissero anche ridefiniti di fronte all’impegno sconfinato  della teledidattica: diritto alla disconnessione il pomeriggio, giorno libero e festivi rispettati;  condivisione virtuale definita nei tempi, in cui non può rientrare l’invio di compiti e di richieste di assistenza didattica , di chiarimento didattico, nelle orali serali o notturne.




















 


1 commento:

  1. Dopo una prima reazione di euuforia tecnologica per esserci visti in video,i miei alunni hanno ripreso a fatica la nuova didattica a distanza.Gli alunni migliori si sono comportati ancora meglio mentre i peggiori sono peggiorati aldi ladei problemi tecnici. Comunque la Dad non funziona perché il mezzo non consente di comunicare realmente.In definitiva la Dad è solo un surrogato della scuola.Sono mancati affetti,sentimenti gioie e mi è rimasto un forte mal di testa.

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