La Dad alla scuola primaria e il bene primario dell'istruzione  

di Paola Cinquerrui, insegnante della scuola primaria-Catania

 Assioma della pedagogia è che non c’è apprendimento se non c‘è la relazione tra insegnanti e discenti e, in questo momento di emergenza sanitaria, anche il Ministero dell’Istruzione ha sollecitato il corpo docente a mutuare l’ambiente di apprendimento-classe nella classe virtuale della didattica a distanza (DaD), mantenendo soprattutto con le bambine e i bambini più piccoli una relazione che vada al di là della semplice assegnazione di compiti. Nel contempo però il MIUR raccomanda che si attuino metodi che consentano alle alunne e agli alunni di operare in autonomia, non solo “riducendo al massimo gli oneri a carico delle famiglie (impegnate spesso, a loro volta, nel lavoro agile)”, ma anche evitando loro rischi alla salute derivanti da un’eccessiva permanenza davanti agli schermi. Questo fa sì che nella scuola Primaria la DaD sia una sfida ancora più grande di quella realizzabile nella scuola secondaria.
Le nostre piccole bambine e i nostri piccoli bambini, benché nativi digitali, hanno necessità del supporto dei genitori per fruire dei contenuti o per entrare in videoconferenza con le/gli insegnanti. In tale contesto, la mia esperienza mi fa rilevare che da una parte ci sono genitori che chiedono a viva voce di mantenere contatti costanti tra la scuola e le alunne e gli alunni, auspicando videoconferenze ed incontri on line calendarizzati e periodici. Dall’altra parte non pochi genitori che, alla sola idea di avere tale assiduità, si rifiutano di entrare nel meccanismo di una quotidianità di scuola-virtuale per i più svariati motivi (mancanza di tempo, penuria di strumenti tecnologici, altri/e figli/e da seguire, scarsità di connessione, questioni di coscienza e di credo educativo, ecc.). Senza parlare poi dei genitori che stanno vivendo in prima linea l’emergenza o perché facenti parte del personale sanitario o perché attaccati dal coronavirus che li devasta prima di tutto psicologicamente. Nel mezzo di questi estremi ci sono miriadi di casi familiari ancora più sfaccettati.

Tale eterogeneità di situazioni e condizioni delle famiglie non può che rendere difficile il nostro lavoro di docente che, se in classe riesce a "livellare" le diseguaglianze, ascoltando, osservando, considerando nella loro individualità bambine e bambini, rintracciando in ciascuno di loro possibilità e limiti, al fine di disegnare per ognuno uno specifico percorso di apprendimento, al contrario in queste condizioni di emergenza l’insegnante deve attuare una Dad che non sottolinei tali differenze. E comunque deve fare una scelta che possa incontrare le esigenze di tutti/e o quanto meno della maggioranza delle alunne e degli alunni, operando caso per caso nei confronti di coloro che hanno situazioni al limite.Se ci ragioniamo su, ci rendiamo conto che questo è il classico contemperamento di interessi che nel nostro caso richiama i fondamentali diritti costituzionalmente garantiti: diritto allo studio di alunne/i (oltre che diritto alla salute), libertà di scelta educativa delle famiglie e libertà di insegnamento del corpo docente.


E non a caso li riporto proprio in quest’ordine che secondo me è quello che permette di avere un quadro chiaro sia alle/agli insegnanti che alle madri e ai padri. Ognuno di noi, qualunque sia la categoria a cui appartiene, deve prima di tutto tutelare il bene più grande che è l’istruzione della propria figlia/alunna o del proprio figlio/alunno, privilegiando comunque l’umanità, il legame affettivo e autentico, il dialogo, in qualunque maniera sia possibile. Poi, a fronte di qualunque metodologia/contatto, viene prima la libertà di scelta educativa delle famiglie che, dovendo garantire sempre e prima di tutto il diritto allo studio, hanno la possibilità di stabilire cosa sia meglio per la crescita morale e spirituale della propria prole. Infine il diritto alla libertà di insegnamento propria delle/dei docenti che, nell’obbligatorietà della DaD, applicano la metodologia e la didattica che ritengono più opportune per far raggiungere alle proprie alunne e ai propri alunni quegli obiettivi che essenziali per l’acquisizione delle competenze, anche umane e relazionali.

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