Presenze e assenze a scuola ai tempi del Covid-19

di Teresa Zuffanelli. Docente di lettere, Liceo scientifico Empoli-Firenze 





Presente! A ogni appello che si rispetti si risponde presente, se possibile con un po’ di entusiasmo. Nel primo biennio dell’istituto tecnico di Empoli, dove insegno, non faccio quasi mai appelli: entro e guardo chi è presente, mentre studentesse e studenti, come ogni giorno, adagiano brutalmente in terra zaini, finiscono di bere il caffè delle macchinette e si scambiano parole assonnate: “No prof, oggi Caio è assente”, “Strano prof, oggi siam tutti presenti!”.
La Dad è didattica senza “presenti”. Assente di certo mi sento io, quando penso a come rendere proficua questa situazione. Didattica che si vede da lontano: non mettiamo a fuoco chi la pratica, come, con chi, con quali mezzi.
Prima di ogni nuova avventura soppesiamo competenze e mezzi per affrontarla: questa volta non è andata così. Siamo partiti senza sapere niente e poi, magicamente, molti hanno iniziato a (far finta di) saper far tutto. Io sto imparando (stiamo imparando) con fatica e preoccupazioni: dopo una prima settimana di totale spaesamento ho iniziato a un po’ a capire, immaginando le vite di studenti e studentesse nel chiuso delle loro intimità. Quelle intimità che intravedo adesso come sfondo alle videolezioni, intimità che possono essere nidi o gabbie.
Il primo contatto con alunne/i e genitori è fatto di messaggi, e-mail, telefonate: con i rappresentanti di classe (anello fondamentale della catena), poi con i ragazzi più fragili. Qualche lato positivo lo intravedo. Avendo meno informazioni quotidiane da focalizzare e memorizzare, gli alunni hanno più tempo per svolgere i compiti assegnati. Servono pazienza e tempo.
Dopo aver imparato come fare lezioni online, guardandosi in faccia e magari fare due risate sui capelli scaruffati di ognuno; dopo aver capito che le attività andavano programmate per tempo, lasciando spazio alla creatività; avendo discusso insieme ai ragazzi circa il carico complessivo di lavoro e le paure di ciascuno: emerge sempre più il bisogno di svincolare le dinamiche didattiche dai rapporti di forza “in presenza”. Elemento chiave: la relazione. Se ragazzi, docenti e famiglie si relazionano, risolviamo problemi. Alunne e alunni vanno guidati negli scambi, come nell’organizzazione e nella scansione del lavoro, non più intrappolati dal suono della campanella. Con questi presupposti riesco a fare davvero didattica “ad personam”.
Speranza c’è quando vediamo come franano, e quindi non abbiano più ragione di esistere, regole che vigono in aula, dove la relazione verticale spesso arriva a soffocare la ragione di esistere di quell’aula: l’imparare insieme. Sembra ridicolo perpetuare le regole “in presenza” davanti alle webcam. Chi avrà il coraggio di seguire questa nuova forma di didattica, vivrà un’esperienza in cui vi è una condivisione orizzontale del sapere e una scelta consapevole nell’imparare, e non un’istruzione imposta dal vertice.
Ovviamente là dove la “gabbia domestica” impedisce l’apprendimento, i ragazzi si trasformano in individui soli e perduti. Perduti nel mare di parole scritte e dette “in lontananza” perché parlano poco o niente italiano; persi dietro muri invalicabili coloro che hanno disabilità legate alla socializzazione; perso chi ha genitori violenti e distanti; persi coloro che devono quotidianamente riconfermare autonomia e conoscenze per non vederle svanire nel vento. I “perduti” sono coloro che per primi dovrebbero rientrare a scuola, per uscire dalla gabbia e ricominciare a condividere.
Inesorabile, con la didattica a distanza, si è mostrato anche il nodo della valutazione. “Prof, ma perché fate verifiche se poi si passa tutti?”; “Il prossimo anno si faranno compiti sugli argomenti svolti online?”. Rispondo che non lo so, che sono incerta e spaesata come loro e non ho risposte, che dobbiamo tutti leggere, studiare, scervellarci per trovare soluzioni inedite. Poi parto con la mia filippica, nel cuore della quale c’è il motivo per cui a mio avviso la scuola esiste: si fa scuola per imparare e/a stare insieme, per correggerci, per graffiarci nel profondo scoprendo la nostra inadeguatezza, per tirare un sospiro e subito rimetterci a correre. Ora siamo tutti in mare aperto a cercare qualcosa che assomigli a ciò che conosciamo e, temendo di non trovarlo, iniziamo a pensare diversamente…
A me quest’anno viene una gran voglia di usare il timbro del Maestro Manzi per tutti/e: fa quel che può. Quel che non può non fa..

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