III Giornata di studio e formazione: 6 maggio 2021 -"Sguardi diversi per una nuova educazione civica"

 


1-Sara Sesti "Troppo belle per il Nobel"

Per seguire il racconto delle scienziate a cura di Sara Sesti collegarsi a https://www.facebook.com/sara.sesti13


2 -Alfio Lanaia "Alle radici del parlar di donne: tra dialetto e cultura popolare". 

articolo 1 di Alfio lanaia:'Le parole che non si dicono'. Alfio Lanaia, con la sua alta competenza di linguista e con l' ironia lieve che contraddistingue il suo stile, rende chiaro quello che nella profondità della nostra storia resta oscuro ma si è depositato nella cultura, nella lingua, nel pregiudizio.

"Quali le cause che hanno innescato l’interdizione linguistica? Nel caso delle mestruazioni ha giocato un ruolo di primo piano la volontà della società patriarcale di mantenere le donne in un perpetuo stato di soggezione e di inferiorità."
"Le parole che non si dicono.
L’interdizione linguistica è un fenomeno che designa il divieto di pronunciare alcune parole legate a determinate sfere semantiche, come quella magico-religiosa, sociale, delle malattie e della morte, delle funzioni fisiologiche e corporali, della sessualità … All’interno delle funzioni fisiologiche e corporali si collocano certamente le mestruazioni, la manifestazione più evidente del ciclo mestruale, che nelle lingue del mondo non sono chiamate col loro nome ma ricorrendo a nomi sostitutivi, i cosiddetti nomi nòa o tabuismi (eufemismi, disfemismi, nomi generici ecc.). Le strategie linguistiche a cui si ricorre per sostituire i nomi colpiti da tabù sono diverse. Vediamone qualcuna a proposito dei nomi siciliani delle mestruazioni.
Il nome ‘vero’ può essere sostituito da uno generico: a) "ddi cosi" cioè ‘quelle cose’; b) "i soliti", cioè ‘le solite (cose)’; c) "i storii" ‘le storie’.
La maggior parte degli eufemismi è costituita da nomi che indicano la periodicità e/o la regolarità del flusso mestruale: a) non più usato è "u catamenu", dal gr. katamēnios ‘(il flusso) mensile’; b) "u misi" ‘il mese’; c) "a misata" ‘la mesata’; d) "i cunti " ‘i conti’; e) "i rricurrenzi" ‘le ricorrenze’; f) "i rrèuli" (con molte varianti) ‘le regole’.
Interessante è il ricorso a ‘tecnicismi’ come "i purghi" e "i purgazzioni" ‘le purghe’.
Alcune perifrasi ed espressioni descrivono il senso di imbarazzo e fastidio provocato dalle mestruazioni, come a) "èssiri mmarazzata" lett. ‘essere imbarazzata’; b) "aviri li so ncòmmadi" avere i propri incomodi’; e c) "ncummudata" si dice ‘di donna mestruata’.
Altre denominazioni alludono più o meno direttamente al sangue del ciclo mestruale: a) "èssiri tempu di murigghja" lett. ‘essere tempo di more’; b) le voci gergali "pumadoru" e "sarsa di pumadoru".
E ancora vi sono denominazioni più o meno (auto)ironiche che fanno riferimento a) a una "vìsita", il cui ospite atteso può essere b) "u furastiri" ‘il forestiero’, c) "u marchisi" ‘il marchese’ (den. diffusa in tutta Italia), d) "u patrun’i casa" ‘il padrone di casa’, e) l'amici, cioè gli 'ospiti', come mi suggerisce Valentina Sineri. Poiché, infine, si dice che alle prime mestruazioni le bambine diventano ‘signorine’, un altro loro nome è "i signurini".
Quali sono dunque le motivazioni culturali nel nostro caso che hanno innescato l’interdizione linguistica e le numerose manifestazioni per aggirarla? Nel caso delle mestruazioni ha giocato un ruolo di primo piano la volontà della società patriarcale di mantenere le donne in un perpetuo stato di soggezione e di inferiorità. A solo titolo di esempio si possono citare le credenze degli antichi greci, secondo i quali il sangue mestruale era altamente tossico. I vapori velenosi che secondo loro circolavano nel cervello e nel cuore potevano far impazzire la malcapitata. A volte la donna poteva diventare immune al veleno, infettando però coloro che le stavano attorno. Secondo Plinio il Vecchio, la donna mestruata era in grado di far morire le piante, di far arrugginire i metalli e rendere i cani rabbiosi solo toccandoli. Tutte queste credenze si sono perpetuate, si può dire, fino a pochi anni fa. Ne fa fede, ad esempio, l’agg. "ncammaratu" ‘avvelenato’, ‘reso velenoso’ che al femm. "ncammarata" è riferito a una donna mestruata. Esso deriva dal participio di "ncammarari" ‘diventare/rendere sterile, della cavalla che si accoppia col mulo’, da "càmmaru" ‘cibo grasso, vietato nei giorni di astinenza’."


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